Quali sono i simboli di Cagliari? Nessun dubbio: insieme alla Sella del Diavolo e al Bastione, non si possono non nominare i fenicotteri che vivono stabilmente nelle lagune cittadine. Quello strano uccello di colore rosso (il suo nome deriva dal greco phoinikopteros, dalle “piume rosse”) dalle zampe lunghissime ha tantissime storie da raccontare. A cominciare dal fatto che può permettersi il lusso di avere, in lingua sarda, un nome se si parla di lui singolarmente e di averne un altro quando, invece, si prende in considerazione il gruppo.

E non si tratta di un nome banale: questi volatili godono di tale considerazione da essere quasi assimilati alle persone. Sono “sa gente arrubia”, la gente rossa, quella che solca al tramonto i cieli cagliaritani spostandosi da una laguna all’altra. Ma è curioso anche il nome del singolo uccello, “su mangoni”: secondo i linguisti deriva dal termine “malgone” che indica lo smergo, un uccello acquatico. Ma lo studioso Massimo Pittau non è del tutto d’accordo e propone un’altra ipotesi. Potrebbe derivare dal termine spagnolo flamenco (letteralmente, fiammante), diventato in inglese flamingo. Già proprio flamenco come la tipica danza spagnola: per cercare il cibo, i fenicottero sbattono le zampe sul fango mentre, durante il corteggiamento, agitano le ali. Movimenti che, appunto, sembrano quelli dei ballerini di flamengo.

In sardo, per quel fenomeno che i linguisti chiamano paretimologia, invece, il termine flamengo si sarebbe trasformato in “Fra Mengo”, cioè “frate Domenico”. Ma Mengo indica anche un “individuo rozzo, strano, balordo” e deriva dal pisano “menco, mengo” che, a sua volta, significa “maldestro, impacciato, inetto”.

Questi splendidi uccelli raccontano tante, tantissime storie. Sembrano che siano qui da sempre. E, invece, no: sono diventati stanziali a Cagliari esattamente da trent’anni. E hanno avuto il merito di portare a Cagliari uno studioso come Helmar Schenk. Ovviamente bisogna fare ordine. Nel 1964, quel giovane studente tedesco di zoologia, botanica e geografia all’Università di Bonn vinse una borsa di studio per venire a Cagliari a occuparsi di un fenomeno che lo aveva colpito sin da ragazzo: l’abitudine di alcune specie di uccelli, di usare, durante le migrazioni, grandi distese acquatiche per riposarsi prima di riprendere il loro viaggio. Schenk cercò di capire per quale ragione i fenicotteri non facessero il nido a Cagliari: in fondo, in quegli stagni sono ricchi del loro cibo preferito, l’Artemisia salina, i piccoli gamberetti rosa che conferiscono loro quell’inconfondibile colore.

Alla ricerca di una risposta, Schenk mise radici a Cagliari dove cominciò a darsi da fare per rendere gli habitat di quell’uccello più sicuri e tranquilli. Un lavoro splendido, encomiabile. Ma, nel frattempo, a metterci lo zampino ci pensò la natura. Nel 1993, il parco della Camargue nel sud della Francia, la più importante zona di riproduzione dei fenicotteri in Europa, fu colpita da un’enorme siccità. Gli uccelli furono così costretti a disperdersi in tutto il continente. E a Cagliari trovarono quei nidi che utilizzavano durante le soste nelle loro migrazioni. Anche perché grazie al lavoro fatto da Schenk e agli interventi del parco di Molentargius, quello stagno divenne sempre più accogliente per i fenicotteri.

Non soltanto: la colonia cagliaritana divenne talmente importante da far sì che da lì partirono alcune coppie che formarono altre colonie, in particolare a Margherita di Savoia in Puglia, nelle valli di Comacchio, nelle saline di Cervia e nel delta del Po.

Merito, si diceva, di Schenk, dell’Ente parco. E, va detto, anche dei cagliaritani stessi che accolsero i nuovi concittadini facendo qualche sacrificio. In quell’ormai lontano 1993, il Cagliari calcio fu protagonista di una splendida cavalcata in Coppa Uefa, arrivando alla semifinale dopo aver eliminato Trabzonspor, Malines e Juventus. Come capita regolarmente in queste occasioni, i tifosi fecero caroselli d’auto in tutta la città e dintorni. Ma si racconta che, opportunamente avvertiti, non abbiano suonato i clacson delle auto quando passavano vicino alle “case” dei fenicotteri. Perché, in fondo, i “casteddai” considerano “sa genti arrubia” concittadini da amare e tutelare.

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