Un’icona, un punto di riferimento non solo in Sardegna. Graziano Lai è la storia del surf da onda nell’Isola. Atleta, giudice, organizzatore. Tre ruoli svolti sempre con la passione e la tenacia che solo l’adrenalina delle mareggiate sanno regalare. Graziano Lai racconta il passato, il presente e il futuro di uno sport che regala emozioni uniche a contatto con la natura.

La prima volta sul surf 42 anni fa.

“Le mie radici nel surf non sono da ricercare nella notte dei tempi; in effetti mi avvicinai alle onde e alla tavola da ultra ventenne, ma le mie radici marine si situano invece ben più indietro fin da piccolissimo adoravo l'acqua e mia madre non mi lesinava le andate al mare, durante la stagione estiva, che coincideva con le sue ferie di insegnante. Dai castelli di sabbia all'eludere la sorveglianza il passo, per un bimbetto è breve e, non so come, rischiai di affogare, già all'età di 5 anni. Quella fu anche, però l'occasione per imparare a stare a galla da autodidatta, e a chiedere aiuto fino a che un'anima pia mi tirò fuori dai flutti, ma tant'è, ormai il ghiaccio era rotto e la mia discesa nel “lato oscuro” incominciò da quella occasione. La svolta radicale avvenne nel 1979, quando, dopo alcune esperienze lavorative di vario genere in Italia e nel Regno Unito, presentai domanda di lavoro a diverse compagnie, prima di navigazione e poi aeree, e fu proprio l'Alitalia a invitarmi ad affrontare le selezioni e l'addestramento che, con mia somma gioia riuscii a superare a pieni voti. Ero un allievo sui “Jumbos” di lungo raggio e a un passo dal surf. Il battesimo avvenne in Brasile; dove conobbi un ragazzo italo-brasiliano, che mi fece da guida per Rio de Janeiro per qualche giorno. Io non avevo mai visto prima la potenza maestosa dell'oceano e quei muri d'acqua che in riva facevano quasi tremare il suolo. Chiesi se era possibile in qualche modo provare e dopo qualche accenno ai pericoli, il mio nuovo amico mi portò su una spiaggia per principianti e in un paio di giorni mi introdusse al nuovo “mistero” del surf. Non fu difficilissimo, ero giovane e soprattutto testardo come sa essere un buon sardo. Così, fra una botta e una bevuta cominciai pian piano a scivolare sulla schiuma. Sono passati decenni da allora, ma quel momento è ancora impresso, radicato nella memoria, custodito gelosamente nei cassetti delle grandi emozioni.  Credo che sia così per tutti: una sensazione mai provata prima; talmente intensa da inebriare e catturarmi perla vita”.

-Una passione coltivata grazie al lavoro

“Ero un surfer e mentre sfruttavo ogni occasione all'estero per imparare sempre di più, a casa cercavo di scoprire le possibilità di praticare lo stesso sport, di trovare altri “animali” della mia specie con cui condividere le mie esperienze e apprendere dalle loro ogni tanto andavo in acqua con qualcuno conosciuto sulle spiagge di Ostia e dintorni e non mancavo di riportare dai voli tutto quanto riuscissi a recuperare in giro per il mondo: riviste, video, gadget, attrezzature, che da noi erano merce rara e, come già detto, ogni occasione era buona per imparare qualcosa, Passavano così i primi anni Ottanta, durante i quali grazie anche al vantaggio della mia professione di navigante Alitalia potei sfruttare al meglio ogni occasione determinata dal viaggiare per lavoro e non solo, ebbi la chance fortunata di sostare in basi estere per lunghi periodi operando su voli locali: Giappone, Australia, Venezuela, Brasile dove rimasi a lungo, furono le mie palestre e la  mia scuola formativa del surf; esperienze impagabili, unite ai voli regolari che spesso toccavano destinazioni oceaniche. In effetti non c'è un oceano nel quale non mi sia immerso, con o senza tavola, sopra o sotto l'acqua. Ho avuto una gran fortuna, certo e quando penso a oggi con l'Alitalia che è scomparsa, dopo essere stata per tanti anni un fiore all'occhiello del nostro paese, mi piange davvero il cuore. Così andai avanti, fra un volo e l'altro, fra un'onda e l'altra, una città e l'altra, fino a che, al rientro dal Giappone, nel 1987 decisi di tornare alle origini e stabilire la mia residenza in Sardegna. Avevo lasciato al mia terra dieci anni prima e la ritrovavo, ovviamente cambiata, e soprattutto cominciai a scoprire che le coste, che in gioventù furono luoghi di pesca, erano anche spot per cavalcare le onde. Esploravo, nord, sud, est, ovest; internet era ancora lontana e le scoperte necessariamente di natura empirica”. 

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Poi, finalmente, la Sardegna.

“Nei miei giri conobbi i primi locali; oristanesi all'inizio: i pionieri Bobo Doc. Lutzu e Giovanni “Giangi” Chiesura; che incontrai durante una libecciata sulla costa di Capo Mannu: le prime amicizie, i racconti davanti al tramonto o davanti al camino, storie , domande, condivisione di sogni. Poco dopo proprio al Poetto, conobbi i cagliaritani di prima generazione: Stefano Diana, Il Guru costruttore di tavole, canoe, windsurf e qualunque oggetto potesse navigare. Con lui , gli altri grandi antesignani:  Spinas, Meleddu, Ciani e Granchio, i giovanissimi Krazy Stagno, Pizzi, Bulla etc... Ognuno aveva un soprannome e io diventai, per alcuni, “Jerry” a causa d una vaga somiglianza con un omonimo surfer hawaiiano. La vita scorreva così, tra un aeroplano e una mareggiata con gli amici, senza folle, senza pensieri e visti dalla maggior parte della gente come quegli strani che credono di stare alle Hawaii. Ripensandoci oggi che la Sardegna è considerata come Hawaii del mediterraneo potremmo essere considerati profetici. All'inizio degli anni 90 cominciò il fenomeno associazionistico e anche in Sardegna vide la luce il primo Club: Sardinia Surfing Association o SSA: noi più grandi eravamo tutti nel consiglio e volevamo fare qualcosa di più. Le prime gare, un campionato italiano, di concerto con le altre tre grandi realtà della penisola: Lazio Toscana e Liguria, dove il movimento si diffondeva in maniera analoga alla nostra. Così tanti di noi da appassionati divennero amatori agonisti e cominciammo ad organizzare gare: low budget low quality low everything but big fun. Ricordo ancora la prima “Abba Fria” di Capo Mannu 1990 e conservo la coppa di categoria che portai a casa. C'era comunque fermento su tutta la penisola e iniziarono i primi campionati Italiani: Lazio, Toscana, Liguria e la nostra terra erano le culle del surf italiano e tramandavano il verbo anche alle altre regioni”.

Poi il sogno della Nazionale.

“La Ssa entrò assieme ad altri in una struttura di natura federale Asi, nata in Toscana con il core dei surfer di quella regione, capitanati da Alessandro Dini, un altro amico che incarna letteralmente la storia del surf italiano. Nasceva così anche un team Italia per partecipare ai campionati internazionali: la mia prima esperienza fu nel ‘95 in Portogallo per un campionato europeo: eravamo scarsi e prendevamo bastonate, ma eravamo anche la “Nazionale” un po' come gli sciatori giamaicani alle Olimpiadi invernali. Si andava avanti così cercando la crescita e io riuscivo sempre a ritagliarmi un ruolo nelle strutture organizzative dei campionati, oltre a partecipare a quello regionale e a quello italiano senior e poi master. Eravamo comunque pochi e affamati, sempre alla ricerca di sponsor per mettere su qualche evento, e senza esitare neppure nel pescare nelle nostre tasche, pur di avere l'opportunità. Io sfruttavo anche il mio lavoro per cercare di recuperare all'estero materiali, accessori e oggetti utili ai nostri scopi: benchè stessero nascendo le prime realtà commerciali dedicate, la scelta e la disponibilità non erano certo sufficienti. Ancora anni di scoperte e di tentativi di crescita: nel1996 presi parte, con la squadra, al primo Mondiale, proprio in California, in posti che conoscevo abbastanza bene essendovi stato più volte per lavoro. In quella occasione fui autista del van sociale e vice team manager sotto Alessandro Dini. Il nome non era più ASI (associazione surfisti italiani) ma ISF (italian Surfing Federation) riconosciuta dalle organizzazioni internazionali del surf”.

Poi il salto all’organizzazione.

“Studiavo il surf da pubblicazioni tecniche, riviste e manuali agonistici stranieri: come gestire e organizzare le gare, i principi e i metodi delle giurie e tutto il bagaglio di conoscenza tecnica che potevo importare da altri paesi, ovviamente senza mai rinunciare alle uscite in acqua, da solo o con gli amici sardi. Internet ormai era d'aiuto e facevo la spola con Roma, che era la mia base operativa per i voli e mi permetteva di rinsaldare le conoscenze nell'ambiente surf del continente. Intanto prendeva forma anche la federazione che da Isf divenne Fisurf e fu riconosciuta fra le discipline associate del Coni dove rimase per qualche anno. I nomi in consiglio erano sempre quelli dei pionieri che col tempo abbinavano all'attività sportiva quella organizzativa. In Sardegna erano presenti diversi surf club, che riuscivano a consorziarsi per organizzare un bel campionato a tappe in tutta l'Isola e a volte le finali di campionato italiano, nei nostri spot che erano e sono i più consistenti e spettacolari del mediterraneo. Di particolare rilievo fu anche un evento professionistico internazionale Epsa che si disputò a Buggerru nel 1994”.

Ma le acque erano agitate.

“In questa attività mi ritrovavo a fare un po' di tutto: surf a 360 gradi: da dirigente, giudice, agonista, organizzatore o anche speaker, a seconda delle occasioni, erano tempi in cui ci si dava tutti una mano con l'obiettivo di promuovere e far crescere lo sport, anche con l'aiuto di sponsor e istituzioni locali che ci supportavano, benchè in piccola misura. Dopo alcuni anni di questo copione e dei miei viaggi nelle località oceaniche più disparate, oltre ad essere nel consiglio federali nazionali, nel 2004 mi impegnai per conseguire un brevetto di giudice internazionale, durante il mondiale in Equador, Laggiù ebbi modo di stringere amicizia con il capo giudice della federazione mondiale, l'australiano Glen Elliot. Tramite i suoi insegnamenti e aderendo ai programmi Isa, nel giro di un anno diventai istruttore abilitato al rilascio dei brevetti internazionali per l'Italia dove, il presidente Fisurf Frugoli mi nominò responsabile del settore giudici. Così, attraverso una serie di corsi e tirocini sul territorio, nel giro di una stagione agonistica riuscimmo a disporre di un corpo giudici competente e sufficiente per supportare al meglio i vari campionati. L'attività cresceva e purtroppo si generarono delle incomprensioni fra Fisurf e tanti nomi storici del surf italiano. Orientamenti diversi che, in mancanza di accordo, provocarono nell'assemblea del 2005 un vero e proprio scisma: da una parte la Fisurf  e dall'altra i dissidenti di Surfing Italia, una federazione parallela, da me presieduta, che attraverso il sostegno di un ente di promozione sportiva gestì,per qualche anno l'attività agonistica nazionale, con un suo campionato semiprofessionistico ricco di eventi, che toccava tutti i mari italiani. I primi anni di Surfing Italia costituirono, è innegabile, un gran successo per il movimento e orgogliosamente anche per noi che ne eravamo i creatori e gli ispiratori: io, Alessandro Dini, Alessandro Staffa, Andrea Bonfili, Maurizio di Spirito, Alessandro Marciano e altri giravamo l'Italia da un capo all'altro con un due tour di short e longboard che non avevano precedenti. Serie A con i 44 migliori atleti e serie B con i campionati regionali.  Cose mai viste prima. Inoltre la federazione mondiale mi convocò per due volte come giudice internazionale ai mondiali in California 2005 3e Brasile 2006 dove ebbi modo di distinguermi fra i migliori giudici al mondo”.

Mancava il riconoscimento.

“C'era partecipazione e coinvolgimento eravamo all'apice del successo, ma mancava una cosa importante: un riconoscimento delle federazioni internazionale. Questo fu lo scoglio sul quale, purtroppo, si infranse l'onda lunga di Surfing Italia: non ricevemmo mai l'ufficialità, né dalla federazione mondiale né da quella europea. Fu un muro di gomma insormontabile, sul quale rimbalzammo più volte, prima di perdere motivazione e abbrivio e, nel giro di pochi anni permeati di delusioni e amarezze immeritate gettammo la spugna: avevamo combattuto contro i mulini a vento, ma il ricordo di quei pochi anni d'oro rimase a lungo. Io rinunciai alla presidenza e anche all'incarico di formatore dei giudici e mi ritirai a coltivare il mio orticello, fatto di serenità, natura, surf e qualche piccola soddisfazione da collaborazioni con piccoli club o scuole per i giovanissimi”.

C’è un altro grande amore.

“Parallelamente mi affacciai nell'ambiente del volley, uno sport che ho sempre seguito da tifoso e appassionato. Ricordo che, in occasione di un torneo internazionale inviai un curriculum alla Federvolley, che lo prese in considerazione e, dal 2010 a tutt'oggi, collaboro ancora con mansioni differenti negli eventi di maggiore importanza e con mansioni che sfruttano le mie competenze linguistiche, di pr, di collaboratore col settore stampa. Nell'ultimo mondiale under 21 (vinto dalla nostra Nazionale) ho coordinato tutto il settore guide e interpreti per i team stranieri con reciproca soddisfazione.

L'ultima mia esperienza nel settore agonistico Surf si conclude nel 2018 dopo una anno di collaborazione con la Fisw, che gestisce il surf italiano per il Coni un anno in cui organizzai da zero il settore giurie, coordinai diversi eventi del campionato italiano di fatto con la direzione tecnica e presi parte come rules advisor al mondiale in Francia. Profonde divergenze di opinione con la struttura federale, portarono alla conclusione di questa avventura; non importa scendere in particolari; torti e ragioni non sono mai del tutto univoci”.  

Cosa c’è all’orizzonte?

“Dal 2018 a oggi sono tornato ancora a fare il Cincinnato della situazione; un occhio distaccato al surf delle competizioni e più intenso alla pratica personale e, nel 2019, la concezione di un progetto, denominato Msa (Mediterranean surfing alliance, che mi vede presidente onorario e   mira ad un discorso di fratellanza fra le popolazioni surfistiche che si affacciano sul Mediterraneo, in un discorso ultra nazionale, transetnico  e transreligioso  che mira a trasmettere un messaggio di pace fra i popoli attraverso lo sport, un progetto in erba che vedeva già coinvolte Italia, Grecia, Cipro, Israele e un interesse della Russia. Poi il Covid ha segnato una battuta d'arresto importante, non solo per lo sport. Oggi mi piace pensare che la fine del tunnel non sia lontana e che si possa riprendere quel discorso e ampliarlo, magari con un maggiore coinvolgimento del movimento, anche a livello di organizzazioni e federazioni: è comunque ancora prematuro, ma voglio vedere il tempo attuale come un anno zero che prospetti un futuro positivo e di crescita, attraverso iniziative comuni e condivise. Nell'intento di portare del bene ai giovani che si affacciano oggi a queste meravigliose discipline e a tutto il movimento. Che la difficoltà diventi opportunità. Buone onde”.

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