C’è una ragione in più per considerare quella del 5 aprile (e poi di settembre) una scadenza cruciale per il calcio e lo sport italiano. In quelle date verranno ufficializzate, rispettivamente, le candidature a ospitare gli Europei del 2032 e quale sarà stata scelta. Per il nostro Paese sarà l’ennesima occasione per provare ad abbattere gli ostacoli che impediscono di costruire impianti sportivi. Lo svecchiamento dei teatri del calcio è un problema diventato improcrastinabile. Abbiamo stadi vecchi e, quel che è peggio, non ce ne vogliamo disfare. Il motivo è che sono talmente vecchi (molti sono stati costruiti dal fascismo) che sono diventati intoccabili (beni identitari, patrimonio artistico eccetera) e perfino la loro ristrutturazione è sottoposta ad analisi e controlli severissimi da parte delle sovrintendenze. I casi di Firenze e Bologna sono emblematici: i progetti di ristrutturazione, sui quali persistono pesantissime perplessità che riguardano il rispetto dell’opera originaria (che senso ha tutelare un bene se poi viene di fatto stravolto, nascondendolo con una sovrastruttura moderna?), sembrano definiti, ma resta da vedere se e come si riusciranno a realizzare.

Lo stadio Giuseppe Meazza a San Siro semivuoto durante la pandemia (Ansa)
Lo stadio Giuseppe Meazza a San Siro semivuoto durante la pandemia (Ansa)
Lo stadio Giuseppe Meazza a San Siro semivuoto durante la pandemia (Ansa)

Le difficoltà

L’Italia è in perenne bilico tra due esigenze: dotare le squadre di calcio di impianti di proprietà e coprire i costi per realizzarli. La prima condizione risponderebbe all’esigenza dei club di fare cassa e reggere la concorrenza dei rivali, anche europei, e a quella dello Stato di liberarsi degli oneri legati alla sicurezza durante le partite. Le città sono però restie a concedere le aree per la costruzione, ad approvare progetti che comportano speculazioni edilizie e grandi spazi commerciali, a vendere gli impianti esistenti. Una mediazione porta all’inevitabile compartecipazione alle spese e questo implica una scelta politica. Tutto ciò si traduce in interminabili dibattiti e porta la questione all’interno di aule consiliari dove prevalgono le logiche della contrapposizione tra fazioni, anziché quello che sembrerebbe l’auspicio dei tifosi. Così, mentre pochi riescono ad arrangiarsi (l’Atalanta sta per cominciare la ricostruzione della terza porzione del Gewiss Stadium, a suo tempo acquistato), altri sono impantanati in annose e infruttuose discussioni: Cagliari attende i soldi della Regione, Milano cerca di capire che fine deve fare San Siro, Roma aspetta e spera. Ed ecco perché, per le 11 città che vogliono candidarsi con l’Italia, gli Europei del 2032 sembrano l’unica soluzione.

Lo stadio di Lusail che ha ospitato la finale dei Mondiali in Qatar (Ansa)
Lo stadio di Lusail che ha ospitato la finale dei Mondiali in Qatar (Ansa)
Lo stadio di Lusail che ha ospitato la finale dei Mondiali in Qatar (Ansa)

Nel mondo

Nel frattempo, la condizione degli stadi italiani appare sempre più inadeguata ai tempi, soprattutto se rapportata a ciò che succede nel mondo. A parte il Qatar, che nel 2022 ha ospitato i Mondiali di calcio in impianti che saranno in gran parte riconvertiti, sono molte le nazioni che hanno inaugurato nuovi stadi, 35 di dimensioni superiori ai 10.000 posti di capienza. In Europa, la Polonia, che pure ha le magnifiche strutture dell’Europeo del 2012, ne ha aperto due (in città importanti come Lodz e Stettino), due la Romania, uno (quello dell’Aek Atene) la Grecia, la Lituania, Cipro e la Turchia. L’Africa ha visto nascere uno stadio nazionale in Senegal (da 50.000 posti, con un miliardo di euro di costo), e altri comunque significativi in Egitto, Algeria, Costa d’Avorio. Tre sono stati costruiti appositamente per il calcio negli States (a San Diego, Nashville e Saint Louis) e non fanno parte di quelli che ospiteranno i prossimi mondiali. In Australia, dove non c’è un problema di impiantistica sportiva, è comunque sorto a Sydney (città olimpica nel 2000) uno stadio nuovo di zecca da 42.500 posti per calcio, ma anche il rugby. Se il Sudamerica ha una condizione simile all’Italia, in Asia la costruzione delle strutture sportive ha messo a segno notevoli punti: l’Indonesia ha realizzato uno stadio da 82.000 posti a Giacarta (uno dei più alti del mondo con i suoi 73 metri) e uno da 30.000 a Serang, l’Iraq prova a recuperare il tempo perso negli anni bui, la Cina è inarrestabile con ben tredici stadi costruiti, compreso il nuovo Stadio dei Lavoratori da 68.000 posti a Pechino, riservato al calcio. I cinesi, però, sono ancora innamorati del vecchio concetto di stadio “olimpico” e hanno realizzato diversi centri polisportivi che comprendono anche palasport e piscine.

Il nuovo stadio Santiago Bernabeu la cui ristrutturazione terminerà alla fine dell'estate (foto Real Madrid FC)
Il nuovo stadio Santiago Bernabeu la cui ristrutturazione terminerà alla fine dell'estate (foto Real Madrid FC)
Il nuovo stadio Santiago Bernabeu la cui ristrutturazione terminerà alla fine dell'estate (foto Real Madrid FC)

Il futuro

L’Italia scivola sempre più indietro nella classifica degli stadi più confortevoli, mentre, nel 2023, gli altri andranno avanti. A Madrid sarà aperto in autunno il rinnovato e fantascientifico “Santiago Bernabeu”, a Liverpool sarà terminato il nuovo stadio dell’Everton (costruito nel porto, a Bramely Moore Dock, dove prima c’era l’acqua) e completata la nuova curva di “Anfield”. In Spagna è stato riaperto poche settimane fa lo Stadio della Ceramica, a Vila-Real, che è stato interamente coperto, e altri sono in dirittura d’arrivo, mentre Barcellona ha avviato la complessa e radicale ristrutturazione del Camp Nou. A consolare l’Italia (e soprattutto le squadre di Milano e Roma), c’è la lite tra il presidente qatariota del Paris Saint Germain, Nasser Al-Khelaïfi, e la sindaca Anne Hidalgo, che non vuole vendere al club di Mbappè, Messi e Neymar il Parco dei Principi, perché possa ristrutturarlo. Davvero una magra consolazione per un Paese come il nostro, ormai allineato al Terzo mondo dell’impiantistica sportiva.

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