Forse il vero amore è non lasciare mai l'altro solo a vivere il dolore dell'assenza, il silenzio, l'indicibile vuoto. Lo sanno bene gli amanti che affidano a frasi come "non voglio vivere un istante senza te" o "voglio morire con te", un desiderio colmo di paura. Proprio come accade agli anziani sposi del mito, Filemone e Bauci, di cui ci parla Ovidio nelle sue "Metamorfosi". Dopo aver ospitato nella loro povera capanna Giove e Mercurio (che avevano assunto fattezze di viandanti), Filemone e Bauci furono ripagati dagli dei per la sincera e premurosa ospitalità. I due sposi desiderarono restare custodi della loro casa, divenuta tempio, e soprattutto chiesero al potente Zeus di poter andare via insieme, così come avevano vissuto per tanti anni: "Che io non debba mai vedere la tomba di mia moglie, né lei debba tumulare me". Alcuni anni dopo, mentre la coppia si trovava per caso in piedi davanti ai gradini del tempio, furono trasformati in un tiglio e in una quercia. Alberi, silenziosi testimoni di vite rinate in altre più durature. Accade qualche volta che l'affascinante mito greco incontri la realtà, assumendone sembianze e forme di uomini e donne, legati da un amore così intenso da morire insieme, come gli anziani sposi.

Ce lo dice la recente scomparsa di Enzo Mari e di sua moglie Lea Vergine, spentasi un giorno dopo l'amatissimo sposo. Lea Vergine, pioniera della critica d'arte, ed Enzo Mari, maestro del designer italiano, hanno vissuto un amore pieno, intenso. Carismatici, entrambi con fortissime personalità, hanno condiviso tutto, anche le profonde divergenze e le accese discussioni. Quasi due opposti, attratti da una forza potente, a tal punto da morire a 24 ore di distanza. Vergine e Mari se ne sono andati via insieme lasciandoci una preziosa eredità artistica e la testimonianza di un amore unico, speciale. "Siamo agli antipodi e la nostra storia ha funzionato in modo misterioso. È stata una sfida e un conflitto continuo, anche se, è vero, sulle cose importanti ci troviamo d'accordo". Così la critica d'arte descriveva il suo ménage, passato attraverso scandali e critiche, ma felicemente costruito anche su una robusta quotidianità. Lui amava recarsi al supermercato, lei preferiva fare la spesa di frutta e verdura nei mercatini rionali. Avevano anche un "appuntamento culinario" prediletto: cucinare la pasta insieme.

È stata capace di vivere da sola appena quattro mesi Giulietta Masina, attrice, moglie e musa del grande regista Federico Fellini. La coppia ha scritto pagine importanti della storia del cinema mondiale, culminata nel 1955 col primo Oscar per il film "La Strada" e facendo il bis l'anno dopo, contro ogni pronostico, con "Le notti di Cabiria". Le loro anime erano molto diverse, ma si completavano. Lei era entusiasta per ogni viaggio, lui non avrebbe mai lasciato il triangolo Margutta, Cinecittà, Fregene. Lei appassionata di prosa, lui dei varietà. Lei fumatrice incallita esiliata in un minuscolo fumoir, lui polemico col vizio, spalancava le finestre. Avevano avuto un figlio, morto a soli undici giorni di vita. "Non aver avuto figli, ci ha fatto diventare figlio e figlia dell'altro, così ha voluto il destino". Un destino che li ha tenuti saldamente uniti fino alla fine. Concedendo loro il lusso, se così di può dire, di ammalarsi pure insieme. Federico Fellini se n'è andato il 31 ottobre del 1993, nel giorno del loro cinquantesimo anniversario di nozze, lei, Giulietta, l'ha seguito a marzo dell'anno seguente, il 23.

Prima ancora di Lea ed Enzo o di Giulietta e Federico, erano stati Giorgio Amendola e sua moglie Germaine Lecocq a emozionare con la forza del loro amore, così assoluto da non poter sopravvivere all'assenza dell'amato. La loro storia era iniziata durante il fascismo, quando Amendola era in esilio in Francia. Si erano conosciuti un 14 luglio a Parigi durante i festeggiamenti per la presa della Bastiglia. Insieme avevano condiviso il confino a Ponza, isola sulla quale si erano sposati, vivendo felici i primi anni del loro matrimonio. Dopo la scomparsa di Giorgio, a 73 anni, nel 1980, Germaine riuscì vivere sola altri cinque giorni, prima di spegnersi, uccisa dal dolore. Non mancarono i pettegolezzi su quell'improvvisa morte, così simile a un coraggioso atto d'amore.
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