A furia di sentire ogni quattro anni che l'Ohio era decisivo per la vittoria nelle presidenziali americane, l'abbiamo trasformato in una metafora: capita spesso ormai che gli analisti della politica nostrana definiscano qualche regione particolarmente contesa alle elezioni "l'Ohio d'Italia" (l'ultima volta è successo all'Umbria). Ma perché quello Stato è così importante nella corsa alla Casa Bianca? E quest'anno, tra Donald Trump e Joe Biden, chi ha più probabilità di aggiudicarselo? Per la prima domanda esistono più risposte, su piani diversi, ma la prima è di tipo statistico: chi vince in Ohio di solito vince le presidenziali. Di solito: molti pensano che non sia mai accaduto che qualcuno sia diventato presidente pur perdendo lì, ma non è così. È vero per i repubblicani: da quando il sistema politico statunitense ha assunto l'attuale conformazione bipartitica, ogni loro candidato che ha perso la battaglia in Ohio ha perso anche la guerra per la Casa Bianca. Ci sono state invece eccezioni tra i democratici: l'ultima è di 60 anni fa e fu John Kennedy, che divenne presidente battendo Richard Nixon. Nel 1944 era accaduto a Roosevelt (l'Ohio gli preferì Thomas Dewey) mentre l'eccezione precedente risale addirittura alla fine dell'Ottocento, e fu doppia: per due volte Grover Cleveland perse l'Ohio ma vinse le presidenziali. Curiosità: lui è l'unico nella storia a esser stato eletto presidente per due mandati non consecutivi (nel 1884 e nel 1892). Altra curiosità: fu sempre sconfitto in Ohio pur chiamandosi come la città forse più celebre dello Stato, appunto Cleveland. Ma non è solo una coincidenza statistica a fare di questo angolo di Midwest il termometro della politica americana. È anche il fatto che la popolazione "ohioan" è sempre stata politicamente molto spaccata, e quindi capace di dare la sua preferenza di volta in volta a candidati di diverse sponde. Ci sono i Blue States, che solitamente premiano i democratici, e i Red States, terreno favorevole dei repubblicani: il colore dell'Ohio invece cambia spesso (Swing State), forse perché al suo interno si mescolano molte storie eterogenee. Quella della forte industrializzazione e delle sue delusioni, la tradizione rurale, l'ascesa e la crisi del movimento sindacale, il cattolicesimo oltranzista, e molto altro ancora. A confermare questo bipolarismo innato sono anche due personaggi assai noti che hanno caratterizzato alcune delle ultime campagne presidenziali, entrambi nati e cresciuti in Ohio. Il primo si chiama Joseph Wurzelbacher ma tutti lo ricordano come Joe the Plumber (Joe l'idraulico): divenne una star nell'ottobre 2008, sfidando dialetticamente Barack Obama che si apprestava a diventare presidente per la prima volta. Quando Obama arrivò per un comizio nel quartiere operaio di Toledo, Ohio, dove Joe viveva, quest'ultimo lo affrontò chiedendogli conto del suo programma fiscale. Wurzelbacher in realtà lavorava per una compagnia di telecomunicazioni, ma disse a Obama che intendeva aprire una ditta di lavori idraulici (da qui il soprannome "the Plumber") e che, se avesse vinto il candidato democratico, avrebbe pagato troppe tasse. Da quel momento i repubblicani lo utilizzarono nella campagna elettorale come simbolo dei piccoli imprenditori che intendevano difendere: il candidato presidente John McCain lo citò più volte, lo chiamò al telefono e poi lo incontrò di persona, e Joe divenne una star per i media. Non aiutò McCain a vincere (neppure nell'Ohio), ma anche in seguito rimase un attivista e commentatore politico repubblicano. Quest'anno invece al centro dei riflettori si è messo un altro "ohioan", ben più famoso e ricco, e di tutt'altro orientamento politico: LeBron James, il più forte giocatore del basket Usa degli ultimi anni, nato ad Akron nel 1984. Non è ufficialmente un attivista democratico, ma con l'esplosione del movimento Black Lives Matter - dopo i casi di afroamericani uccisi dalla polizia - ha preso nettamente posizione contro Donald Trump. Anche se, nelle sue considerazioni sulle elezioni, invita solo ad andare a votare, senza dare indicazioni specifiche. Ma non è un mistero la sua preferenza, e dopo aver riportato dopo dieci anni i Los Angeles Lakers a conquistare il titolo Nba il suo peso nell'opinione pubblica è persino accresciuto.

Più difficile rispondere alla seconda domanda iniziale, ossia chi si aggiudicherà quest'anno l'Ohio tra lo stesso Trump e il suo sfidante Joe Biden. A 24 ore dal voto del 3 novembre, i sondaggi danno i due molto vicini: uno pubblicato dal New York Times vede Biden avanti di un punto percentuale (45 a 44), un altro diffuso da Fox News ne concede due di vantaggio al presidente uscente (46 a 44). Anche queste cifre confermano l'Ohio come un territorio su cui è difficile fare previsioni, e nel quale gli attivisti dei due contendenti cercheranno voti fino all'ultimo. In palio non ci sono solo i 18 grandi elettori (comunque non pochi, solo sei Stati ne portano in dote di più), ma anche la possibilità di aggiudicarsi il vero Stato-talismano, che non tradisce mai. O quasi.
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