Quella mattina Giovanni Casula lascia prima del solito la postazione da apprendista operaio nel cantiere sulla collina di Villanova. Deve finire l’impasto per il suo primo muro ma i colleghi gli dicono di fermarsi. Al «nuovo bastione c'è un’altra manifestazione». La quarta in quattro giorni, una mobilitazione massiccia mai vista a Cagliari. Gli operai devono partecipare. È il 1906, sono i tempi durissimi della guerra del pane, il capoluogo è in fermento, la situazione può degenerare da un momento all’altro.

MALESSERE GENERALE

Il malessere del mondo operaio aveva già preso forma con un primo sciopero a febbraio. Poi era stata la volta dei commessi, dei camerieri e dei fornai. A seguire le mobilitazioni più massicce, animate soprattutto dalle operaie della Manifattura tabacchi, protagoniste del «maggio cagliaritano». I moti più aspri scoppiano propri nei primi giorni di maggio del 1906. Si susseguono i comizi in piazza, il cuore della protesta inizialmente è sotto il Bastione di Saint Remy, crocevia dei quartieri storici della città, ma i moti di ribellione prendono forma anche nella zona del porto e del Comune.

LA MANIFESTAZIONE

Lunedì 14 maggio è il giorno più importante. A sedici anni sai poco o nulla di lotte sindacali, ma Giovanni Casula è incuriosito da questa agitazione della gente della sua città. Nelle strade del centro i cortei si moltiplicano e la tensione nelle piazze sale alle stelle. Gli organizzatori - i leader socialisti e repubblicani - non riescono più a controllare i manifestanti. Sono migliaia, arrivano dalle fabbriche di Bonaria, dai forni, dal porto, dai  cantieri edili, dalle campagne dell’hinterland.

LA BATTAGLIA DEL PANE

Si contestano il caro alimentari, le giornate di lavoro lunghe anche quindici ore e soprattutto la quarta regia, la tassa comunale che si porta via il 25 per cento dei proventi dei mercati. Ma ad accendere definitivamente gli animi è l’aumento del prezzo del pane: i “coccoi” infilzati sulle aste delle bandiere diventano il simbolo della protesta di quei giorni di fuoco. L'Unione Sarda del tempo parla di «migliaia e migliaia di cittadini che si affollano al Bastione di San Remy, a udir la parola rovente degli oratori contro il rincaro dei viveri».

ESPLODE LA VIOLENZA

Il ruggito di una città improvvisamente rabbiosa travolge tutto e tutti. In poche ore gli episodi di violenza sono incontrollabili. Vengono saccheggiati i forni del pane, c’è l’assalto ai casotti del dazio e agli uffici della dogana, vengono rovesciati, bruciati o addirittura buttati in mare i tram. Gli scontri con le forze di polizia e militari si moltiplicano, ci sono molti feriti.

MOMENTI DRAMMATICI

A metà pomeriggio la folla circonda minacciosamente il palazzo comunale appena inaugurato in via Roma. La situazione sfugge di mano, l’esercito regio dà l'ultimatum con tre squilli di tromba. Il corteo deve sciogliersi. Ma non basta. Partono i primi spari, Giovanni Casula è tra la folla, si sta limitando a guardare la scena. Sente una fitta alla schiena, si accascia in un lago di sangue. Resta immobile, smette di respirare. Muore a sedici anni senza sapere perché.

TRAGEDIA SENZA SENSO

Un sacrificio assurdo nella battaglia di Cagliari. Accanto a lui crolla a terra senza vita anche un altro giovane appena più grande. È Rodolfo Cardia, 19 anni, fruttivendolo, colpito alla testa da un proiettile vagante. La doppia tragedia ha un effetto immediato. I tumulti si fermano davanti al dramma dei due ragazzi colpiti a morte. Torna all’improvviso una calma dolorosa nella città incendiata dai movimenti popolari. Ma gli effetti della sommossa non finiscono: il sindaco Ottone Bacaredda è costretto a farsi da parte e lasciare la guida del Comune al commissario regio (ma dopo sarà sindaco per altri tre mandati). Arrivano cinquemila militari, la mobilitazione si ferma ma Cagliari non dimenticherà più quei giorni drammatici di inizio Novecento.

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