Una marea di gente, tipo “I ragazzi del muretto” ma in formato extralarge. Decine e decine (ma d’estate anche centinaia) di giovani e giovanissimi gomito a gomito riuniti a fare poco o nulla, ma con la voglia di stare insieme, di condividere le giornate talmente forte da diventare fenomeno di massa quasi incomprensibile per le generazioni successive.  Benvenuti negli anni Ottanta, nel tempo dell’abusatissimo “edonismo reaganiano”, nonché dell’ideologia e della politica portate ai minimi termini dopo la devastazione degli anni di piombo e dopo il tempo dell’impegno a qualunque costo, se no non eri nessuno. C’è quasi il rifiuto dei più giovani di rivolgere l’attenzione verso forme di vita sociale troppo complicate. A dire la verità esistono anche i movimenti studenteschi, come quello di “Ucci, Ucci, sento odore di Falcucci”, che tra l‘85 e l’86 mette nel mirino la ministra democristiana “colpevole” di aver reso obbligatoria l’ora di religione a scuola. Ma lo sguardo è rivolto da un’altra parte: si scelgono leggerezza e divertimento, e nel frattempo si sviluppa un forte senso di appartenenza al gruppo, con un conformismo quasi militaresco su abbigliamento, moto, auto, letture, musica, tv, cinema, sport. 

I RAGAZZI DEL MURETTO  

Tutti fanno le stesse cose, tutti si presentano nello stesso modo, chi vuole essere accettato dal gruppo deve seguire rituali e regole precisi. In questo modo si entra nella “cricca”, così si chiama a Cagliari, una dimensione di comunità sociale che sfiorirà  già negli anni Novanta per poi sparire del tutto al tempo delle piazze virtuali su internet. Gente, tantissima gente: come alla Carapigna, la gelateria di Monte Mixi che per quattro-cinque mesi - da maggio a settembre - diventa polo di attrazione per quasi tutti i giovani della città. È la strana  fusione di numerose compagnie di amici, tanto che non è difficile sentirsi dire: “Tu di che cricca sei?”. Dai quindici ai trent’anni è una tappa obbligata dal tramonto sino alle dieci,undici della sera. Non esistono aperitivi o cene, il cibo finisce in secondo piano: al limite qualcuno fa il carico di pizze (rigorosamente incartate, i cartoni moderni sono l’eccezione) o i panini dei “caddozzoni” del Poetto (ci sono solo lì).  

AL POETTO E AL DETTORI

La “supercricca” si trasferisce di notte a Marina Piccola, col porticciolo che ha un aspetto assai diverso da quello attuale. Ci sono i resti delle case abusive, il porticciolo moderno non è ancora disegnato: uno spiazzo ampio sulla banchina riesce ad accogliere centinaia di giovani. Tutti in piedi senza troppe pretese. Nel cuore di agosto quel fiume di gente si sposta a Villasimius (discoteca abituale Capo Boi) o a Santa Margherita (discoteca di riferimento Capo Blu). Impossibile dimenticare i chilometri in coda nelle strade del litorale congestionate dal traffico, anche in piena notte, molto più di adesso perché lo spostamento dei giovani è (era) faraonico: Cagliari d'estate si svuotava, l’appeal turistico sarebbe comparso molti anni dopo. D’inverno gli stessi gruppi scelgono via Cugia, dalle parti del liceo Dettori, occupando praticamente tutta la strada sino alla pasticceria La Speciale da una parte e alla paninoteca Lo Stuzzichino (non esiste più) dall’altra. Oppure a Monte Urpinu, appena diventato parco, tra staccionate, prati verdi e pochi alberi. O anche davanti al Charlie, la discoteca di via Dexart. In tanti non varcano neanche le porte della sala da ballo. I giovani arrivano da ogni angolo della città. Restano per strada, sempre “a fare cricca”. Per uno o due anni si va anche in via Garibaldi, vicino a piazza Costituzione, punto di riferimento la paninoteca Drogheria, esplosa col movimento dei Paninari arrivato da Milano.

IL TEMPO DEL CONFORMISMO  

Ma qual è il motore di queste super aggregazioni giovanili? È un modo di incontrarsi, anche perché è difficile darsi appuntamento quando gli unici punti di contatto sono il citofono o il telefono di casa (i cellulari arriveranno di lì a qualche anno, smartphone e social non esistono neanche nei sogni). In “cricca” si passano le ore con poco o nulla. Si perde molto tempo, si fantastica, si progetta il futuro. Si parla, si cammina, ci si guarda (nascono anche tanti amori), si beve qualche birra, si fuma una canna qua e là, non mancano le risse improvvise tra decine di motorini e moto, tutti rigorosamente uguali:  “Sì” o “Vespa” Piaggio declinati in Vespino o Vespone a seconda delle cilindrata e moto Honda o Yamaha “da enduro”. Sullo sfondo la musica diffusa da chi ha l’auto, con le famose autoradio (estraibili, se no le rubano) “nella mano destra” cantate da Toto Cutugno. nell’”Italiano”. Anche sul fronte quattro ruote poca fantasia: appena esce (nel 1983) la Fiat Uno sbaraglia ogni concorrenza (chi ha più disponibilità economica si può permettere quella Turbo, ribattezzata “bara ambulante” per le performance incredibili accompagnate da una carrozzeria inadeguata). Le alternative, sono la Golf o la Renault Super 5, anche se qualche romantico preferisce l’R4 (sempre Renault) o la Due Cavalli (Citroen). Circola anche qualche vecchia Cinquecento. Qualcuno poi può permettersi la Lancia Delta “integrale”, amatissima dagli appassionati di motori.

MUSICA INGLESE

La musica. Quella italiana dei cantautori è scomparsa o quanto meno nascosta: vanno di moda le proposte rigorosamente britanniche, trascinate dai duellanti del tempo, Duran Duran e Spandau Ballet. Sono tanti e apprezzatissimi: Paul Young, gli Wham di George Michael, i Simple Minds, i Culture Club di Boy George, Frankie goes to Hollywood, Nik Kershaw i Tears for Fears, i Depeche Mode, i Pet Shop Boys, Bronsky Beat, Sade, gli irlandesi U2 e tanti altri. Le uniche eccezioni americane sono i totem Michael Jackson e Madonna. Tra le proposte italiane spiccano Vasco Rossi, Pino Daniele, Gianna Nabbini, Venditti, Baglioni, Ramazzotti e il solito Battisti, buono in tutte le stagioni

SPALLINE E CALZE COLORATE 

Anche l’abbigliamento è affidato al conformismo più puro, col paradosso che maschi e femmine si vestono quasi nello stesso modo. Non esistono gonne o vestitini (a parte qualche eccezione in piena estate). L’unica differenza è data dalle spalline. Le ragazze sotto le felpe Best Company o By American sembrano giocatori di football americano, per il resto si affidano ai jeans Levi’s 501 (come gli uomini) o ai più elasticizzati Uniform. Risvoltini rigorosi per tutti, con calze colorate in evidenza (le carissime Burlington o Naj Oleari per chi può spendere di più). Ai piedi Timberland da barca o le somiglianti Celini. Le alternative sono le sempreverdi scarpe “da tennis” Nike o Adidas. Non mancano le eterne polacchine Clarks e gli scarponcini Timberland, da tagliaboschi americani, anche quelli di ispirazione paninaro-milanese.

LE GRIFFE A QUALUNQUE COSTO

Circolano i piumini Moncler o i giubbotti di pelle Scott (quello di Top Gun, film mito del tempo, col sequel in sala proprio quest’anno) o quelli idrorepellenti Henry Lloyd. È tutto carissimo, prezzi esagerati rispetto alle tendenze attuali. Quei giacconi - che valevano allora 350/400 euro - ora costerebbero non meno di millecinquecento-duemila euro. Eppure in quegli anni se ne vedono molti, insieme alle altrettanto costose cinture El Charro, casa italiana ma di ispirazione statunitense: linea assai pacchiana, col fibbione di metallo sull’ombelico. La ricerca ossessiva dei capi firmati e costosi ha anche una conseguenza sgradevole. Sono all’ordine del giorno in ogni angolo della città (ma succede in tutta Italia) le aggressioni per portare via cinture o giubbotti. Per fortuna il fenomeno dura poco tempo, la corsa alle griffe tramonta con gli anni Ottanta, si entra presto in una dimensione più sobria e meno condizionata dalle scelte di massa.

STAGIONE FINITA 

Nel frattempo i grandi gruppi di giovani per strada si assottigliano sempre di più, sopravvivono in qualche modo sino a fine secolo per poi scomparire quasi del tutto. Ora quelle compagnie restano solo nei ricordi di chi è più in là con gli anni. Ogni tanto, per restare a Cagliari, a Monte Urpinu prende forma qualcosa che assomiglia allo spirito della cricca, ma la dimensione è diversa, la predisposizione dei giovani anche: c’è sempre il cellulare a condizionare ogni comportamento. I Ragazzi del muretto non ci sono più. Siamo in un’altra era, i giovani trascorrono gran parte del tempo chiusi in camera con gli occhi puntati per ore e ore sugli smartphone. I rapporti con l’esterno diventano sempre più virtuali nelle piazze social, le frequentazioni reali sono ormai rarefatte, anche se probabilmente meno superficiali di quelle di trenta, quarant’anni fa. Era meglio prima? E’ meglio ora? I paragoni sconfinerebbero nella demagogia. Ma, a dirla tutta, una piccola somiglianza c’è: allora i ragazzi buttavano via i soldi per capi d’abbigliamento che non lo meritavano, ora li buttano per cene al ristorante pressoché quotidiane (che quasi sempre non lo meritano lo stesso). 

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