Prosegue la ricostruzione de L’Unione Sarda sulla vicenda dell’allevatore di Burcei condannato ingiustamente. 

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Dopo la sentenza d’appello
, che conferma quella di primo grado, per Beniamino Zuncheddu si chiude il capitolo processi con la sua condanna definitiva quale responsabile della strage di Sinnai: tre morti alle pendici del monte Serpeddì. A quel punto comincia la detenzione vera e propria, quella che - secondo i canoni - terminerà il 31 dicembre 9999. Cioè: mai. Questo è l’ergastolo.

Le possibilità

Ma anche una carcerazione che si prospetta senza fine in realtà può offrire vie di uscita. Diverse le une dalle altre, ma comunque importanti. Dipende da specifici fattori, tra cui ha un peso notevole il comportamento del detenuto nel penitenziario (rispettare le regole e non creare problemi agli agenti di polizia penitenziaria e agli altri reclusi, per essere estremamente sintetici). Con l’andare del tempo arriva la possibilità di lavorare all’interno dell’istituto e, più avanti, anche all’esterno. Lasciando la cella di buon mattino per farvi rientro la sera. Si chiama semi libertà, regime cui gli ergastolani possono accedere dopo aver scontato molti anni di prigione. E Zuncheddu vi arriva alla fine del secondo decennio del 2000. Evitare di trascorrere 24 ore chiuso in una casa circondariale è già un ottimo risultato per lui che nel febbraio 1991 ha salutato casa e paese per essere trasportato prima in Questura e poi nell’allora casa circondariale di Buoncammino, a Cagliari; ma subito dopo l’obiettivo del pastore di Burcei diventa compiere un passo ulteriore. Cioè accedere alla libertà condizionale, che può essere concessa dopo aver scontato almeno 26 anni e che, sulla base di determinate prescrizioni, dà l’ulteriore possibilità di estinguere la pena trascorso un altro quinquennio nel rispetto della legge.

Una delle vittime della strage di Sinnai trovata dai parenti
Una delle vittime della strage di Sinnai trovata dai parenti
Una delle vittime della strage di Sinnai trovata dai parenti

Chi valuta la richiesta, e assume le relative decisioni, è un Tribunale specifico che si chiama di Sorveglianza, composto da magistrati di carriera e figure esperte in diverse materie. Questo collegio è deputato a decidere sulle richieste di pene alternative alla detenzione in carcere presentate da chi ha subito una condanna definitiva. Zuncheddu compie questo passo per la prima volta nel 2014 ma la domanda viene bocciata su presupposti che i giudici di Nuoro (all’epoca il pastore era ristretto a Badu’e Carros) illustrano in alcune pagine di motivazioni: in sostanza per dare l’ok alla richiesta serve il “sicuro ravvedimento” del carcerato. Questi, cioè, deve aver tenuto un tale «comportamento durante l’espiazione» della pena da poter dare «per assodato» quel ravvedimento. Si tratta, è spiegato nel documento, di un «elemento psicologico»: anche se non ci si dichiara colpevoli, e Beniamino Zuncheddu sino ad allora non ha compiuto quel passo (mai lo farà anche in seguito), il detenuto può aver «maturato un percorso interiore di consapevolezza del reato e di ravvedimento» magari «partecipando alle attività rieducative e trattamentali» in carcere. Ma, secondo i giudici, in quella occasione manca la prova che l’ergastolano abbia raggiunto quel risultato: «Non si è mai espresso sulla gravità oggettiva dei delitti per i quali è stato condannato» e «mai» ha cercato un approccio con i familiari delle vittime. Neanche ha «offerto loro una somma, almeno simbolica, pur lavorando».

Il diniego

Insomma, sembra «un uomo indifferente al dolore provocato». Di conseguenza il fatto che in carcere sia «corretto e rispettoso verso compagni e operatori e che lavori e goda di permessi premio non dimostra» abbia raggiunto quel sicuro ravvedimento necessario a ottenere la libertà condizionale. Si comporta bene perché «è suo interesse non trasgredire» le regole; viceversa, «perderebbe i benefici» sino ad allora ottenuti. Infine, anche il gruppo di osservazione e trattamento riferisci di un «mancato percorso di crescita». Quindi la domanda viene respinta.

Dopo sei anni

Il secondo tentativo risale al 2020. Ma il risultato non cambia. Anzi, è pressoché identico a quello precedente perché il Tribunale formula il suo no (giugno di quell’anno, pieno periodo Covid) basandosi proprio sulle motivazioni del 2014, nonostante nella premessa si spieghi che Zuncheddu dal 2018 goda della semi libertà, che il suo comportamento in carcere sia «ineccepibile», che dal 2008 lavori all’esterno dell’istituto «con impegno e serietà», che fruisca di «permessi premio» a Burcei dove «riceve la solidarietà dei paesani e il sostegno dei servizi territoriali», che rispetti «pienamente le prescrizioni», che abbia «validi riferimenti familiari» e abbia mostrato una «costante affidabilità» nei 27 anni di carcerazione. Tuttavia il collegio sostiene non sia «mutato» il suo comportamento sul delitto: ancora una volta, manca il “sicuro ravvedimento”.

Benimaino Zuncheddu nell'aula della Corte d'assise a Cagliari
Benimaino Zuncheddu nell'aula della Corte d'assise a Cagliari
Benimaino Zuncheddu nell'aula della Corte d'assise a Cagliari

Botta e risposta

Da questo momento però comincia un balletto quasi stupefacente, per chi non è avvezzo alla materia giudiziaria (forse anche per chi lo è), tra la Cassazione (ultimo e superiore organo giudicante) e la stessa Sorveglianza di Cagliari, con un rimpallo di decisioni e bocciature di quelle decisioni che comincia nel 2020 e va avanti in pratica sino alla primavera del 2024. Accade infatti che Zuncheddu tramite il suo nuovo avvocato Mauro Trogu faccia ricorso contro il diniego incassato nel giugno 2020. E che la Corte suprema quattro mesi dopo accolga la sua domanda, dando torto al Tribunale sardo. In pratica secondo i giudici di terza istanza il detenuto ha «il diritto di non ammettere le proprie responsabilità» pur se colpevole, perché il «ravvedimento» per essere ritenuto reale pretende solo sia accertato «se il percorso riabilitativo sia serio». Tuttavia il detenuto deve partecipare «attivamente» alla sua «rieducazione» e deve «rivisitare criticamente» la «vicenda all’origine della condanna» perché «solo così si può dimostrare una netta presa di distanza da quei comportamenti deviati e la sua piena adesione a modelli di vita socialmente accettati».

E poi ci sono due elementi che la Sorveglianza, a dire della Cassazione, non avrebbe considerato: Zuncheddu nel 2019 si era detto disponibile ad avere un avvicinamento con le vittime (chiedendo di incontrare il superstite Luigi Pinna e i familiari dei tre morti), passo non compiuto a causa del «loro mancato assenso»; inoltre aveva «responsabilmente accettato la condanna, pur negando la sua colpevolezza». Così la Corte boccia la decisione di giugno e rimanda il fascicolo alla Sorveglianza imponendo di verificare se in effetti l’ergastolano abbia dato «una concreta apertura e una disponibilità alla relazione» con le vittime e se in lui realmente sia presente «un distacco consapevole dalle precedenti esperienze criminali». Nel gennaio 2022 la Sorveglianza delibera di approfondire questi due aspetti rinviando, per valutare i risultati, al giugno successivo. Altri cinque mesi.

Ancora un no

La decisione arriva a luglio ed è un altro no. Ancora una volta, pur partendo dal presupposto che un detenuto non abbia l’obbligo di confessare il reato per il quale sconta la pena (in questo caso l’ergastolo), la Sorveglianza resta sulle proprie posizioni. A suo dire Zuncheddu è stato condannato in modo irrevocabile; ha pensato a incontrare i parenti delle vittime solo dopo aver chiesto la libertà condizionale e su consiglio dell’avvocato, «dimostrando così scarse apertura e comprensione per la tragedia vissuta dalle vittime» e di essere «molto più orientato e concentrato sul suo dolore rispetto a quello degli altri»; mai ha pensato a un «qualche risarcimento», pur lavorando; il suo comportamento è in fondo «coerente» con la sua professione di innocenza, ma il suo «ostinato rifiuto e la mancanza di disponibilità» lasciano «perplessi» sulla sua «reale comprensione» di quanto commesso e sulla «revisione» delle sue «pregresse scelte criminali», nonché sulla «effettiva accettazione della condanna». Che del resto «comprendeva anche il risarcimento». Mai concesso.

E si insiste, negativamente, anche sugli altri punti. Cercare un approccio con la famiglia delle vittime «non è stata una scelta spontanea» di Zuncheddu «ma stimolata dall’avvocato, dunque strumentale». Cioè non davvero sentita ma utile solo «a ottenere il risultato». Il detenuto «non mostra solidarietà e rispetto per il dolore delle vittime ma anzi una sorta di rivalsa», perché «incontrandole chiederebbe loro il perché di accuse ingiuste». Dunque «nessun percorso di mediazione può essere avviato», perché nel caso «serve un dialogo con una reciproca comprensione e solidarietà». Poiché invece Zuncheddu «è più concentrato su sé stesso che sul dolore degli altri», non può esserci l’ok alla libertà condizionale.

Beniamino Zuncheddu col suo avvocato Mauro Trogu in Corte d'appello a Roma
Beniamino Zuncheddu col suo avvocato Mauro Trogu in Corte d'appello a Roma
Beniamino Zuncheddu col suo avvocato Mauro Trogu in Corte d'appello a Roma

Il terzo tempo

Ancora una volta il pastore e l’avvocato fanno ricorso, e per la terza volta la Cassazione boccia il no della Sorveglianza. I giudici cagliaritani, sostengono i colleghi romani, non si sono «attenuti rigorosamente» a quanto da loro indicato, ribadendo l’importanza della mancata confessione e valutando «solo la disponibilità del detenuto» a intraprendere il percorso di avvicinamento con le vittime «senza valutare l’intero percorso riabilitativo», viceversa fondamentale per avere un quadro complessivo. Tutto questo nonostante l’amministrazione penitenziaria già nel giugno 2022 abbia detto che Zuncheddu aveva «responsabilmente accettato la condanna e dimostrato di aderire positivamente al percorso rieducativo», oltre ad «avere capacità di condurre uno stile di vita regolare inserendosi positivamente nel contesto sociale, familiare e lavorativo». È il febbraio 2023. La decisione torna nelle mani della Sorveglianza. La nuova e ulteriore decisione però non arriverà mai: nel frattempo infatti è stato avviato il meccanismo della Revisione, che a breve la renderà inutile.

6) continua

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