Belva Lockwood, l’avvocata dei Cherokee che sognò la Casa Bianca
Nel 1884 fu la prima donna candidata alla presidenza degli Stati UnitiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La prima fu Belva Ann Lockwood, granitica signora dotata di un nome molto popolare negli Stati Uniti (significa bellezza panoramica) e di una determinazione che la portò a essere, nel 1879, la prima avvocata a esercitare la professione davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, nonché, nel 1884, la prima donna a candidarsi alla Casa Bianca. Anni prima s’era fatta avanti Victoria Woodhull, eccentrica suffragetta di idee modernissime, ma la sua partecipazione alla corsa elettorale non aveva il crisma dell’ufficialità, mentre Belva Lockwood - nata nel 1830 a Royalton, New York, da una famiglia di agricoltori - partecipò attivamente alla competizione col suo nome sulla scheda elettorale, comizi in tutto il Paese e interviste rilasciate ai giornali.
Se dunque Kamala Harris può aspirare alla Casa Bianca e prima ancora ha potuto Hillary Clinton, lo si deve a lei che è stata la prima ad affrontare una vera campagna elettorale per affermare il diritto delle donne al voto e alla partecipazione politica. Belva, avvocata allora 54enne e già molto nota, si presentava con la lista del National Equal Rights Party, un piccolo gruppo della California, e aveva un programma diviso in quindici punti, concentrato non solo sul suffragio universale ma anche su temi come il diritto di famiglia, i diritti dei nativi (che come legale ha spesso rappresentato), riforma del servizio civile, protezione delle terre pubbliche, affari internazionali, dazi e tariffe, pensioni e nomine giudiziarie. Viaggiando in tutti gli Stati, dalle città ai paesi delle zone rurali, raccontava il sogno di un’America in cui le donne avevano gli stessi diritti degli uomini, e le classi più umili («Di tutte le razze», sottolineava) potevano realmente ambire a una vita migliore. «Io, come donna, oggi non ho il diritto al voto? La Costituzione, però, non impedisce a voi uomini di votare per me», diceva durante i suoi comizi. Raccolse 5mila preferenze (certificate dal Notable American Women); niente in confronto a quelle dei suoi avversari, ma erano voti di uomini che avevano scelto lei come la miglior candidata alla Casa Bianca. Era questo, sostenne, quel che contava.
Il 4 novembre 1884, il democratico Grover Cleveland fu eletto presidente degli Stati Uniti. Ancora una volta un uomo (e finora, 140 anni dopo, è andata così), ma Belva era riuscita a scalfire un pregiudizio; di più, scrissero i giornali progressisti, «a creare un’eredità». In molte cittadine le furono dedicate strade e piazze, e si moltiplicò il numero delle neonate chiamate col suo nome. Nel 1888, Belva Lockwood si candidò ancora una volta alla Casa Bianca, e tra le interviste rilasciate alla stampa ci fu quella concessa alla giornalista Nellie Bly. «Gli uomini dicono sempre: “Vediamo cosa sai fare”. Bene, se parliamo sempre e non lavoriamo mai, non realizzeremo nulla».
Lei tante sfide le aveva vinte. Vedova con una figlia e una laurea, si era trasferita nel 1866 a Washington con l’idea di studiare legge. Qui sposò un veterano di guerra che l’ha sempre sostenuta, aprì una scuola con classi miste (allora una novità assai scandalosa) e, dopo aver affrontato l’ostilità dei colleghi maschi, e soprattutto dell’amministrazione della National University Law School che, concluso il corso, si rifiutava di concederle il diploma in giurisprudenza, scrisse al presidente Ulysses S. Grant e nel giro di una settimana riuscì ad avere la pergamena. Era il 1873.
Come attivista e come avvocata è stata sempre in prima linea nel movimento per l’emancipazione femminile. Scrisse un disegno di legge per la parità di retribuzione e parlò davanti al Congresso per sostenere il diritto delle donne sposate e delle vedove a una maggiore protezione legale. Ma anche le avvocate erano discriminate, rispetto ai colleghi maschi. Per questo cercò il sostegno dei colleghi e di tanti politici perché si lavorasse a una normativa volta a garantire alle donne l’esercizio della professione in qualsiasi tribunale federale. Ci sono voluti nove anni di pressioni e proteste, ma alla fine il Congresso approvò la legge. Belva Lockwood fu dunque la prima donna a essere ammessa all’Ordine degli avvocati della Corte Suprema degli Stati Uniti, il 3 marzo 1879. E proprio davanti alla Corte, nel 1906, discusse uno dei suoi ultimi casi: Stati Uniti contro la Nazione Cherokee. Rappresentava i discendenti della tribù che nel 1835, in Georgia, aveva ceduto i terreni al governo federale per un milione di dollari. Un contratto che Washington aveva onorato solo in parte. L’avvocata Lockwood fece un’arringa durata due giorni e alla fine gli Stati Uniti furono condannati a un risarcimento di ben 5 milioni di dollari.
È morta il 18 maggio 1917. Tre anni dopo, nel 1920, il XIX emendamento della Costituzione degli Stati Uniti ha riconosciuto alle americane il diritto di voto.