Fabio Aru ha ha scelto per la prima volta la Colombia per rifinire in quota la preparazione per quella che dovrebbe essere per lui la stagione del rilancio. A digiuno di vittorie dal luglio 2017, galvanizzato dalla nascita della piccola Ginevra, la primogenita arrivata a metà ottobre a rallegrare l'ormai consolidata relazione con la compagna Valentina, Aru è determinato a riguadagnare il tempo perduto. Le ultime due stagioni, con la maglia della Uae Emirates sono state avare di risultati e le cause sono fin troppo evidenti. In uno sport già divenuto estremamente competitivo, nel quale il 29enne di Villacidro ha l'ambizione di competere al massimo livello possibile, concedere agli avversari il vantaggio di una condizione fisica imperfetta è un lusso vietato. A chiunque. Se poi più che di problemi fisici si finisce per parlare di vere e proprie patologie, allora il quadro delle ragioni di tanti insuccessi non richiede altri dettagli per essere chiaro. E a Fabio negli ultimi anni è successo di tutto.

GLI INCIDENTI -Fare i conti con contrattempi come cadute o piccole indisposizioni è del tutto normale per un corridore professionista. Fabio l'ha imparato a sue spese già nel 2013, al debutto al Giro d'Italia, con la maglia dell'Astana. Il capitano di quella formazione era Vincenzo Nibali e il Giro di Fabio iniziò benissimo. Alla terza tappa, vinta da Luca Paolini a Marina di Ascea, il giovane villacidrese conquistò la maglia bianca di leader dei giovani, tenendola per tre giorni. Nella settima tappa, a Pescara, sotto la pioggia, una caduta in discesa gli fece perdere tempo e maglia. Ma non era tutto. Forse l'acqua rilanciata dall'asfalto dalle ruote, ingerita inavvertitamente, gli causo un'intossicazione che gli rese la vita impossibile nelle tappa successive. Iniziò un calvario di una settimana, Aru era nelle condizioni di ritirarsi e nessuno avrebbe potuto obiettare nulla. Resistette per restare a disposizione del capitano e nel finale si dimostrò una pedina fondamentale nel successo del messinese, conquistando anche un magnifico quinto posto nel tappone delle Tre Cime di Lavaredo, sotto la pioggia.

Fabio Aru dopo l'operazione all'arteria iliaca a Prato a maggio 2019 (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru dopo l'operazione all'arteria iliaca a Prato a maggio 2019 (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru dopo l'operazione all'arteria iliaca a Prato a maggio 2019 (Archivio L'Unione Sarda)

LA MAGLIA ROSA SFIORATA - Dopo il podio del 2014 (un terzo posto amaro scaturito anche dalla "furbata" di Nairo Quintana nella discesa dallo Stelvio), Fabio si doveva presentare al via del Giro d'Italia del 2015 con i gradi di capitano e i favori del pronostico, da dividere con Alberto Contador, soprattutto. Ma un virus che lo colpì in aprile lo costrinse a interrompere la preparazione e saltare le gare di rifinitura. Riuscì comunque a presentarsi al via di San Lorenzo al Mare, seppure non al meglio. Il suo secondo posto finale, con due vittorie di tappa, un giorno in maglia rosa, il trionfo nella classifica dei giovani con un distacco record sono risultati eccezionali che non cancellano il legittimo dubbio che le cose sarebbero potute andare ancora meglio senza quel contrattempo. Lo dimostrò pochi mesi dopo conquistando la Vuelta.

LA CADUTA E IL GIRO IN SARDEGNA - Nel 2016, l'anno del suo debutto al Tour, non mancarono i problemi: al Tour dei paesi Baschi, cadde e batté la mano e la schiena. Sembra una cosa da poco, ma lo costringerà a saltare anche Freccia Vallone e Liegi, dopo il ritiro alla'Amstel Gold Race. Ma peggio andò nella stagione successiva, quando la corsa rosa dava a Fabio Aru una grandissima possibilità: quella di partecipare al Giro che dopo 10 anni partiva dalla sua amata Isola. All'inizio di aprile Fabio cadde in discesa durante un allenamento sulla Sierra Nevada e picchiò il ginocchio. Un incidente banale (ma avrebbe potuto avere conseguenze peggiori) che però bastò a negare al Cavaliere dei 4 Mori l'enorme gioia di gareggiare di fronte ai propri tifosi. Un boccone durissimo da mandare giù, che poco dopo avrebbe avuto una diversa opportunità di essere interpretato. Alla fine di aprile, il suo compagno di squadra e amico Michele Scarponi fu ucciso in allenamento dallo scontro con un furgone (guidato che un suo tifoso che morirà pochi mesi dopo, logorato da un rimorso insopportabile) e Fabio capì che nella vita ci possono essere cose peggiori. Si allenò come un matto, tornò alle corse, dominò il campionato italiano (indossando la maglia di Scarponi) e portò il tricolore a imporsi al Tour de France: vittoria di tappa a La Planche des Belles Filles, maglia gialla portata per due giorni, quinto posto finale. Sarà il momento più alto, dal quale comincerà un lungo declino.

Fabio Aru affaticato al Giro d'Italia del 2018 (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru affaticato al Giro d'Italia del 2018 (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru affaticato al Giro d'Italia del 2018 (Archivio L'Unione Sarda)

IL TORMENTATO 2018 - Fabio, entrato in rotta di collisione con il general manager del team Astana, Aleksandr Vinokourov, sente che è giunto il momento di cambiare e firma un triennale con la Uae Emirates, con scadenza alla fine del 2020. È storia di oggi, insomma. Fabio è capitano designato al Giro d'Italia ma non trova la condizione, complici incidenti di percorso come la caduta alla Volta a Catalunya. Fa un'enorme fatica, galleggia nell'anonimato di una posizione tra la decima e la ventesima. Non tiene le ruote dei migliori e non capisce perché. Staccato, scaccia la telecamera della Rai che insisteva a inquadrarlo nel suo tormento. A due tappe dalla fine, dopo aver provato invano a perdere terreno per ritrovare forza e puntare almeno a un successo di tappa, deve ritirarsi, proprio quando il Giro arriva sulle strade del Piemonte che lui conosce bene per i tanti allenamenti che lì svolge quando sale al Sestriere per prepararsi in quota. Fabio prova a riposare e ripartire, finisce sotto accusa la preparazione condotta assieme al suo ex compagno e amico Paolo Tiralongo, la squadra lo difende ma capisce che la stagione, iniziata male, non potrà che finire peggio. Prova a rilanciarsi alla Vuelta ma è tutto inutile. Cade a settanta all'ora per un problema meccanico, probabilmente dovuto a un suo errore, accusa platealmente la bicicletta (salvo poi scusarsi) poi riparte e scala l'Angliru, una delle salite-spauracchio d'Europa, con i pantaloncini a brandelli, sanguinante. Convocato per i Mondiali di Innsbruck, Fabio rinuncia in lacrime ammettendo di non essere nella giusta condizione. Prova a tenere duro e accetta anche l'inutile trasferta in Cina a ottobre inoltrato, ma l'anno che si chiude è un anno perso.

Fabio Aru riparte dopo la caduta al Giro d'Italia del 2013 che gli costerà la maglia bianca (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru riparte dopo la caduta al Giro d'Italia del 2013 che gli costerà la maglia bianca (Archivio L'Unione Sarda)
Fabio Aru riparte dopo la caduta al Giro d'Italia del 2013 che gli costerà la maglia bianca (Archivio L'Unione Sarda)

L'ARTERIA ILIACA - Ricomincia la preparazione ma, dopo un incoraggiante debutto alla Challenge Mallorca, con un ottavo posto, le cose continuano a peggiorare. Si cercano intolleranze alimentari, si lanciano in aria motivazioni psicologiche senza fondamento, si mette in dubbio persino la volontà di ferro che il campione italiano continua a dimostrare. Alla fine Fabio si ferma ed è quasi un sollievo, quando l'ennesimo esame strumentale rivela finalmente la causa di tutto: Aru ha una occlusione parziale dell'arteria iliaca sinistra che gli impedisce di sfruttare il proprio motore. Viaggia con tre pistoni. Deve operarsi e lo fa a Prato all'inizio di maggio del 2019.

IL TOUR E IL NUOVO VIRUS - Aru ha voglia di rientrare nel mondo al quale sente di appartenere. Segue le tappe della convalescenza e si ripresenta al via già a giugno al Gp di Lugano. I segnali sembrano buoni, al Giro della Svizzera si testa a fondo, è il migliore della sua squadra. Decide, contro i desideri del team di provare a schierarsi al via del Tour de France, magari per ritrovare in gara quei ritmi che gli consentano di puntare a un risultato migliore nella successiva Vuelta. Ma, ingolosito da una classifica che è meno peggio di quanto non si potesse sperare, forse chiede troppo al suo organismo ancora convalescente e, pur chiudendo in quattordicesima posizione, migliore italiano e primo del suo team, arriva in Spagna affaticato. Nella prima tappa, una cronometro a squadre, finisce per terra come tutti i compagni e la sua Vuelta sembra già in salita. Eppure ha la forza di andare all'attacco e conquistare un bel quinto posto di tappa a Calpe. Forse per questo e per la sua incredibile capacità di andare oltre i limiti della sofferenza, si indebolisce e crolla. Gli esami scoprono un citomegalovirus e in questo caso il verdetto è inappellabile. Ha bisogno di almeno un paio di mesi di riposo per guarire. Un'altra stagione è andata e Fabio si consola con la nascita della figlia, pensando già al 2020. Nelle sue intenzioni - e nelle speranze dei suoi numerosissimi tifosi - l'anno del riscatto.
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