La chiamano la "corsa della birra" e il perché è nel nome (che è anche lo sponsor principale): l'Amstel Gold Race, la classicissima olandese, giovane (appena 51 edizioni) e vivacissima (nel 34 "cotes") ha regalato emozioni forti, nel bene e nel male. Proviamo a leggerla in chiave "sarda".

Momento no. Non si può non partire da Fabio Aru. Il corridore di Villacidro si affacciava per la prima volta nelle classiche del Nord. L'Amstel doveva essere l'assaggio, una corsa per fare esperienza, per rientrare in gruppo dopo la sfortunata caduta ai Paesi Baschi, per trovare il colpo di pedale in vista di Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, corse più adatte a lui. Invece qualcosa non ha funzionato, la schiena che duole, la sofferenza e, a pochi chilometri dalla fine, l'inevitabile ritiro.

Inutile insistere: saltano le due classiche delle Ardenne belghe, la prima parte della stagione finisce qui. Adesso riposo e poi la preparazione per la grande sfida dell'estate, il Tour de France. Il bilancio della primavera è inferiore alle attese, in quello che per Fabio è l'anno della conferma, dopo la vittoria nella Vuelta 2015. Ma non è il caso di fare drammi.

Il bis strappalacrime. Sul traguardo di Valkenburg, Enrico Gasparotto ha trovato la gioia che gli era sfuggita d'un soffio alla Freccia del Brabante (2°). Nel 2012, in maglia Astana, all'Amstel aveva interrotto il lungo digiuno azzurro nelle classiche. Ieri ha fatto il bis, con la nuova casacca della Wanty-Group Gobert, scattando sul Cauberg e fulminando il danese Valgren. Ha alzato gli indici al cielo, dedicando la vittoria ad Antoine Demoitiè, suo compagno morto in modo assurdo durante la Gand Wevelgem. L'ormai esperto corridore di Sacile ha vinto poco in carriera, ma corse importanti. È stato anche maglia rosa, a La Maddalena, nel 2007, dopo la cronosquadre vinta dalla Liquigas: doveva cedere il passo a Danilo Di Luca, invece passò per primo sul traguardo e si vestì di rosa. L'abrussese, furibondo, quel Giro l'avrebbe poi vinto.

Caduta assurda. Se Aru può lamentarsi per il mal di schiena, ben peggio è andata a un altro Fabio, l'azzurro Felline. Alla partenza ha messo la mano sul tubolare per un controllo di routine: il guanto si è incastrato nel freno e la bici lo ha catapultato in avanti, faccia a terra. Le conseguenze sono drammatiche: frattura cranica, rischia di non poter più correre.

Un episodio simile accadde vent'anni fa al piemontese Fulvio Frigo. Stava andando dall'hotel alla partenza della prima tappa del Giro di Sardegna 1996, la Quartu-Quartu. Avvicinò la mano alla ruota, le dita finirono in mezzo ai raggi e lui fu scaraventato a terra. Ferite, fratture, lacrime: per lui la corsa finì ancor prima della linea di partenza.
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