Una vita meno frenetica, l’addio al ciclismo per dedicare più tempo alla famiglia.

Queste le motivazioni per cui Fabio Aru a 31 anni ha lasciato definitivamente le corse: “Voglio un futuro che mi consenta di stare più tempo a casa”, ha spiegato a Cagliari in una conferenza stampa che si è tenuta nella sala Giorgio Pisano de L’Unione Sarda.

"Non potevo stare fuori 200-230 giorni. Ora valuterò delle proposte che accetterò non prima del 2022 - spiega -. Ma sarà un lavoro che mi deve tenere lontano da casa al massimo 30 giorni".

La prospettiva è quella di allargare al più presto la famiglia: “Nel futuro vedo il matrimonio, e una soerellina o un fratellino per nostra figlia”.

Niente più gare, ma la passione per le due ruote non tramonta da un giorno all’altro: “Mi piace fare sport, ieri ero in giro con gli amici di Villacidro, con orari diversi rispetto a quando mi allenavo per le competizioni. Ora mi muovo in orari impensabili, alle 14 o alle 18. Ogni giorno ci faccio qualcosa”.

(Foto L'Unione Sarda)
(Foto L'Unione Sarda)
(Foto L'Unione Sarda)

Il passato: “A un certo punto sono diventato un’azienda, tanti impegni anche fuori dagli allenamenti e dalle gare. Nel corso degli anni ho anche avuto bisogno di collaboratori pagati da me. Qualcuno mi ha deluso, sono rimasto ferito”.

Cosa lascia il ciclismo: “Ti insegna a non mollare mai, tante volte in questi anni avrei voluto farlo ma non l’ho fatto. Mi piace ricordare l’ultima squadra (Qhubeka Assos, ndr), è stata la più bella. In altri team, forse è inevitabile, ci sono cose belle, ma anche un po’ d’invidia. Qui mi sono sentito in famiglia, se non avessi smesso avrei continuato con loro”.

Con il ritiro anche più libertà a tavola: “Da quando ero giovanissimo non ho potuto mangiare a Natale e Capodanno come tutti gli altri, ora con gli amici abbiamo mangiato un maialetto”.

Non manca un po’ di nostalgia verso un altro ciclismo: "Si parla troppo di numeri - ha detto Aru - legati ai misuratori di potenza: una salita diventa un insieme di cifre. Io direi che almeno prima del professionismo possiamo fare a meno dei misuratori di potenza perché si rischia di non ascoltarsi e di perdere certe sensazioni". 

(Unioneonline/L)

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