Notti in bianco. Rimuginando sulla quarta sconfitta consecutiva e arrovellandosi il cervello alla ricerca di un appiglio al quale aggrapparsi, ma che rischia, qualunque esso sia, di allungare semplicemente il brodo e perdersi tra i rimpianti di una stagione, sin qui, maledetta. Che poi è il proseguo di quella appena passata (e riacciuffata per i capelli). E il peccato originale è proprio quello di non aver dato il giusto peso all’ultima salvezza. Che ha trasformato il finale in un orgasmo pazzesco e indimenticabile, mascherando, però, errori lampanti e limiti strutturali. Un peccato di presunzione, forse, che parte dall’alto, da chi questa squadra l’ha pensata e costruita, e accomuna i rossoblù in campo, che stanno rendendo al di sotto dei loro standard e magari hanno sottovalutato la crisi quando era ancora alla radice. Insomma, oggi sono tutti artefici dell’ultimo posto in classifica.

Cambio di mentalità

Meglio cambiare subito rotta, prima che sia troppo tardi. E più che un progetto o chissà quale alchimia tattica in attesa di una fantomatica svolta, serve un cambio di mentalità. Forte. Perentorio. Non basta aver giocato in Champions o una vita nell’Atletico Madrid, essere stato un punto fermo della Roma, essere passato per l’Inter o aver indossato la “camiseta” del Boca Juniors e pensare di meritare un top club anche in Europa. I curriculum non portano punti e in questo momento il Cagliari ha un disperato bisogno di raccattare anche mezzi punticini qua e là affrontando ogni partita con umiltà e il coltello tra i denti. E un rilancio non può prescindere da una spinta emozionale e sentimentale. Quanti, per esempio, sono davvero attaccati alla maglia? Il presidente Giulini in persona ha scoperchiato il pentolone alla vigilia della gara con l’Atalanta, in un faccia a faccia durissimo dentro lo spogliatoio nel quale sono volati stracci e parole pesanti. Sarà poi il tempo a stabilire se è servito a dare una scossa o se ha addirittura irrigidito i rapporti tra proprietà e squadra. All-in. In fondo, comanda sempre il campo. E sabato sera un (piccolo) segnale di rabbia e orgoglio si è intravisto, anche se non era certo la partita ideale considerato il valore dell’avversario. E l’aver perso “solo” di misura è una magrissima consolazione. Come il settimo gol stagionale di Joao Pedro, l’unica vera nota lieta della serata insieme alle prodezze di Cragno, finalmente lui.

Pausa di riflessione

La situazione è sempre più precaria ma non compromessa. Mancano ancora tre quarti di campionato, là nel basso c’è poi tale pochezza e la classifica è così corta (nonostante gli exploit di Spezia e Venezia) che basta una vittoria per smuovere le acque. Forza e coraggio. Magari la sosta non arriva al momento giusto, di sicuro consentirà di riordinare le idee e focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti, anche se la “fuga” dei nazionali non agevola certo il lavoro di Mazzarri (ma questo è un problema che accomuna tutte le squadre). Nemmeno il più pessimista avrebbe immaginato forse un impatto così deludente del tecnico livornese (5 punti in 9 partite), ma la sua posizione non sembra essere in discussione, almeno per ora. «Il mister Mazzarri è la nostra certezza», il messaggio, forte e chiaro, è stato ribadito anche l’altro ieri dalla società, che guarda già al mercato. Da qui a gennaio, però, mancano ancora 7 giornate, alcune decisive. Crederci non basta più, bisogna dimostrarlo.

Fabiano Gaggini

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