Il calcio è in lutto, Sinisa Mihajlovic è morto. Purtroppo è tutto vero: la leucemia non gli ha dato scampo, lo ha prima fiaccato e poi sconfitto.

Aveva 53 anni, l’istinto e la forza di un leone. Fino a qualche mese fa ha allenato il Bologna e, quando il club rossoblù ha deciso di esonerarlo, ci fu sollevazione. Perché lui, Sinisa, in panchina era tornato anche con la leucemia per salvare la squadra che, per i bolognesi, “tremare il mondo fa”. Retaggio di un passato remoto, ma con a capo un condottiero come Mihajlovic valeva la pena crederci ancora, almeno per provare a sognare una realtà migliore.

La notizia che nessuno avrebbe voluto sentire è stata battuta dalle agenzie poco dopo le 15. E chi segue il calcio ha rivisto, mentalmente, per un attimo, le immagini della conferenza stampa in cui il Guerriero aveva annunciato la sua malattia. Ma anche le sue prodezze da calciatore.

Quando giocava, le sue punizioni – potenti e precise – sibilavano. Gol. All’Olimpico, soprattutto sul versante laziale, hanno esultato per ben 20 volte in 126 match davanti alle sue prodezze. Non solo gol. Ma anche assist, giocate da fuoriclasse, che per lui, serbo, diventato calciatore con gli orrori della guerra dei Balcani negli occhi, erano una valvola di sfogo, una sorta di sollievo a un dolore latente, fin troppo intimo per essere raccontato in diretta. 

Una rete l’ha regalata anche alla Roma, che lo pescò dalla Stella Rossa di Belgrado, in 54 presenze dal 1992 al 1994. Ma con i giallorossi non si lasciò bene. Dodici volte ha esultato alla Samp in 110 match, 5 all’Inter in una ventina prima di diventare vice di Roberto Mancini e di intraprendere una carriera di allenatore che dal 2008 lo ha portato ad allenare il Bologna, il Catania (salvato dopo una cavalcata controvento, un’impresa che in Sicilia verrà ricordata per sempre), Fiorentina, Sampdoria, Milan (dove ha lanciato un sedicenne Donnarumma in una stagione disgraziata), Torino, Sporting Lisbona e ancora Bologna. A Torino ha vissuto le ultime stagioni vista Europa, prima delle salvezze felsinee, anche con il peso di una leucemia che lentamente lo ha distrutto.

Non ha mai nascosto le sue simpatie di destra, Sinisa. Pur riuscendo ad entrare nel cuore della città più di sinistra d’Italia, Bologna. E neppure l’amicizia, anche quando era scomodissima, come nel caso del suo legame giovanile con il criminale di guerra Arkan.

Sarà bello ricordare la sua grinta in campo e in panchina, e quel bacio dato a Zdenek Zeman, l’allenatore che più di tutti lo ha valorizzato da calciatore, poco più di una settimana fa, in occasione della presentazione a Roma dell’autobiografia del Maestro boemo. E sarà bellissimo riguardare il duetto a Sanremo con Ibrahimovic, suo amico fraterno, un altro che la vita se l’è dovuta conquistare con le unghie e con i denti. 

Il resto è il triste comunicato della famiglia, che definisce la sua morte «ingiusta e prematura». Il Guerriero era da poco diventato nonno.

«La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic». Non ci sono altre parole. 

© Riproduzione riservata