Erika Striulli ha detto basta. La playmaker veneta, ma ormai sarda d'adozione data la lunga militanza col Cus Cagliari, smette con il basket giocato a 34 anni. La decisione è arrivata al termine di un'estate di lunghe riflessioni. E non è certo stata semplice. 

Basket, gioie e delusioni. «Sono passati vent’anni dal mio esordio in serie A», riflette Striulli, «e come tutti gli atleti che iniziano ad intravedere il loro tramonto con il sorriso, è arrivato il momento di iniziare a fare un bilancio su ciò che mi ha dato e mi ha tolto lo sport professionistico di alto livello, ricco di vittorie, emozioni, sconfitte, infortuni duri, momenti introspettivi e viaggi».

Una storia, quella con la palla a spicchi, iniziata grazie a papà Dante, ex cestista e allenatore. Un viaggio straordinario, che l'ha portata a esordire giovanissima in Serie A, a vestire casacche blasonate come quelle di Lucca, Napoli, La Spezia, e addirittura quella della Nazionale, nel 2013. Tappe intermedie che l'hanno condotta fino a Cagliari, dove ha trovato la sua seconda casa: «Ho vissuto l’Italia in lungo e in largo, sempre con la valigia pronta. Molti luoghi, tante persone, mille avventure. Ma l’avventura sportiva è stata per me prevalentemente una continua scoperta di me stessa. Un modo per misurarmi, per capire chi ero e cosa volevo». Un percorso vissuto sempre a testa alta e senza compromessi: «L’ambiente sportivo professionistico mi ha dato l’occasione di conoscere me stessa e di fare scelte più accurate crescendo e maturando. Il mio modo di vivere il “mestiere” sportivo ha sempre avuto alla base un amore profondo per quella condivisione figlia di valori quali l’onestà intellettuale, la trasparenza, la lealtà, l’altruismo e la professionalità. Al di là delle competenze tecniche - tattiche, tutti gli allenatori avuti mi hanno sempre riconosciuto la maniacale cura dei dettagli, l’entusiasmo, la disponibilità al dialogo e all’assunzione delle mie responsabilità, in campo e fuori. La loro stima non è mai mancata, nonostante io non sia un “soldato” che china la testa a priori».

Le difficoltà non sono mancate: «Purtroppo la competizione estrema, che determina pregio e stipendio di un’atleta, innesca meccanismi che portano alla luce tutti i limiti dell’essere umano quando è costretto a mettere a nudo sé stesso, entrano quindi in gioco invidie, gelosie e cinismo», spiega, «abbiamo una cultura sociale che non apprezza il talento e, soprattutto, che ha pochi strumenti conoscitivi per riconoscerlo. La maggioranza dei fallimenti che ho visto vivere da squadre considerate imbattibili, non sono state causate dall’egoismo del singolo, ma dall’invidia dei molti. Una cosa che ho imparato di me stessa è che questa filosofia non mi appartiene e non voglio più viverla».

Cinofilia: una passione che arriva da lontano. Dopo il basket, c’è una passione almeno altrettanto grande: quella per il mondo cinofilo. Un amore nato ormai tanti anni fa: «La cinofilia ha origini nella mia infanzia, quando avevamo in famiglia un cane aggressivo, dal passato traumatico, con il quale poche persone potevano rapportarsi», racconta, «era un incrocio pitbull - rottweiler, di 50 chili, sottratto ai combattimenti clandestini. Ero molto giovane ed il cane non aveva un buon rapporto con bambini e adolescenti. Ci ho messo anni per capirlo, ma non ho mai mollato, terribilmente affascinata dal riuscire ad entrare in comunicazione con lui. Alla fine siamo diventati amici, la pazienza ed il desiderio di andare oltre al comportamento visibile hanno vinto. La “mia” cinofilia è nata lì, assieme a lui». Ed è cresciuta fino a diventare un vero e proprio lavoro: «A partire dal 2018», conferma, «si tratta di una professione che meriterebbe più rispetto e considerazione. Culturalmente, purtroppo, viene spesso identificata e vissuta come un banale “hobby” con cui arrotondare lo stipendio, togliendo importanza al mestiere, che necessità di studio continuo, preparazione, fisicità e competenze che vadano oltre la mera passione per gli animali.  Lavorare con i cani è una questione seria. Molto seria, che non dovrebbe lasciare spazio a superficialità ed improvvisazione, come invece accade spesso. Ho iniziato a uscire dalla Sardegna, in cerca di formazione professionale che mi garantisse una crescita costante: dopo una primissima formazione basica a Cagliari, subito un altro corso in Toscana, poi Verona, poi la collaborazione con un Centro Cinofilo in Emilia Romagna e con diversi allevamenti professionali».

Il nuovo mondo di Striulli sarà l’Accademia Formativa Cinofila che sta prendendo vita a Quartu Sant’Elena. Una scommessa che arriva da lontano: «Nel 2012 sono arrivata in A1 al CUS Cagliari per la prima volta e già allora avevo deciso che la mia vita, una volta conclusa l’avventura sportiva, sarebbe stata in Sardegna. Non avevo dubbi in merito. Quella che sto costruendo è una realtà che mi vede finalmente protagonista in ambito decisionale, dopo una vita passata ad essere una mera “figurina” da utilizzare. L’Accademia sarà fondata su meritocrazia ed altruismo. La Sardegna che ho conosciuto in questi anni, è una Sardegna dai due volti: ho toccato con mano realtà mentalmente chiuse ed incapaci al confronto, così come ho avuto modo di conoscere moltissime persone ricche di entusiasmo e carattere, cordiali, aperte al dialogo e sempre pronte a mettersi in discussione senza paura. É da questa grande fetta di Sardegna, composta da colleghi cinofili, corsisti, tirocinanti, proprietari e appassionati che nasce l’Accademia Cinofila, volta a formare professionisti e ad alimentare entusiasmo e competenze a chiunque sia interessato a questo mondo».

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