Certo che lo conosce il posto dove sorgerà piazza Rari Nantes: «Davanti agli uffici della Capitaneria di porto». Lì è stata la sua prima volta: «Avevo sette anni, era il 1948, mi avevano afferrato e buttato in acqua». Senza troppi complimenti. «Allora si usava così». Tranquilli, non è mai successo nulla, nel senso che non è annegato nessuno, non solo i talenti destinati a diventare grandi campioni. Ma si imparava a stare a galla, in fretta.

Graziano Sanna era l'ultimo di cinque fratelli e la madre, a sua volta prima di sedici figli («toscana, a 15 anni è venuta in Sardegna a trovare uno zio, ha conosciuto mio padre e non è più andata via»), li accompagnava tutti insieme. «Ci chiamavano la Rari Nantes Sanna». Giuliano, Luciano, Adriana, Silvano e Graziano: doveva essere uno spettacolo vederli attraversare la città diretti al porto. «Abitavamo in piazza Martiri e passavamo in viale Regina Margherita aggrappati alle sue gonne». I bambini nuotavano e lei aspettava insieme alle altre signore. «Il presidente, Efisio Degioannis, ci portava sempre i cioccolati, gli istruttori erano Umberto Olla e Pazzaglia, con me nuotavano i Laudadio, Carluccio e Paolo Micheli, Andrea Marrazzi. La piscina era uno specchio di mare delimitato da pontoni galleggianti ancorati alla banchina che venivano messi a maggio e tolti a settembre». E d'inverno? «Nuotavo a terra». A terra? «Agganciavamo gli elastici alla parete e ci allenavamo così».

Il cambio

Il posto non era dei più sicuri: «Qualcuno tra i soci arrivava in bicicletta e per evitarne il furto la immergeva in fondo al mare per poi recuperarla prima di andare via». E la ruggine? «Pazienza». Poi è arrivato lo sfratto. «Nel 1957 la Capitaneria aveva trasferito a Su siccu Rari Nantes, Aquila, Lega navale ed Esperia». Era stata l'occasione per costruire la nuova sede. «Era l'anno in cui era stata attivata la tv in Sardegna, nella sala centrale atleti e non si riunivano davanti allo schermo per vedere "Lascia o raddoppia" di Mike Bongiorno». I nuotatori avevano lavorato con i muratori. «Avevamo delimitato l'area non solo in mare ma anche in terra, con paletti e picchetti». In acqua avevano sistemato i pontoni lunghi cinquanta metri, agganciati a due pannelli di cemento (un regalo di Ugo Maxia che aveva una drogheria in via Garibaldi) e limitati da boe galleggianti che venivano prestate dalla Marina Militare. Solo d'estate. D'inverno ci si arrangiava a secco.

Il più forte

«Arrivavo comunque preparato al periodo estivo». Verissimo: non aveva rivali. «Ho battuto i record sardi nei 50, 100, 200, 400, 800 e 1.500 stile libero, 50, 100 e 200 dorso e 50 delfino». In campo nazionale ha partecipato ai tornei riservati alle società prive di piscina coperta. Proprio così. «E noi eravamo sempre primi». Anche se non erano abituati all'acqua dolce dei mega impianti dell'Acquacetosa o dello Stadio del nuoto, a Roma. «Con me c'erano Robertino Pisano, Franco Bolasco, Giuseppe Covacivich, Paolo Pettinau». Che tempi. «Quando è stata costruita la piscina da 25 metri la Rari Nantes aveva scritturato un allenatore brasiliano medaglia di bronzo nei 100 stile libero alle Olimpiadi, Harold Lara, diventato poi un famoso baritono». Prima però c'è stata una tappa intermedia: la vasca della Fiera: «Il fondo non superava gli 80 centimetri, era tutta storta ma si potevano ricavare venti metri per nuotare».

La fatica

Frequentava il liceo classico Dettori. «La mattina andavo a scuola, nel primo pomeriggio studiavo e alle sei di sera andavo a fare ginnastica. D'estate, invece, facevo un doppio allenamento la mattina, due-tremila metri, pausa di un'ora durante la quale l'allenatore olandese Cornelius Van Niele ci costringeva a stare lì, e poi di nuovo il pomeriggio alle 16». Ma non bastava. «Alle 18,30 pallanuoto. Eravamo a tempo pieno». Non solo: c'era pure da preparare il campo. «Facevamo tutto noi. Prima delle gare dovevamo pulire i pontoni dai denti di cane sennò alla virata ci distruggevamo i piedi».

Non c'erano impianti ma il talento sì: Graziano Sanna era stato convocato per una selezione in vista delle Olimpiadi di Roma nel 1960: «Mi avevano visto nuotare e mi avevano chiamato ma non ero stato scelto, c'erano le basi ma non l'altezza». A distanza di decenni scherza con la consapevolezza che se ci fosse stata una piscina vera la sua carriera sportiva sarebbe stata diversa.

La storia

Dopo il liceo si è iscritto in Giurisprudenza, si è laureato e ha fatto l'avvocato prima di entrare alla Sai Assicurazioni dove ha lavorato fino alla pensione, nel 2001. «Il nuoto era la mia passione, il resto contava poco. Ho smesso a 27 anni, quando mi sono sposato». Con la pallanuoto invece ha continuato fino ai 30. Senza mai andare via. «La Rari Nantes è un pezzo di storia di Cagliari, negli anni '50 e '60 non c'era niente ed è stato al porto che si sono organizzati i primi balli di carnevale. Da noi si faceva molta socialità». Ha provato con altri sport ma «corsa e calcio non facevano per me». Il nuoto gli ha insegnato tutto: «In acqua non puoi bluffare, ottieni i risultati solo con grande determinazione, devi avere voglia di emergere e questo si trasmette nella professione. Non è un caso se sono diventato direttore regionale della Sai a 42 anni». Hanno frequentato le piscine anche i due figli, a loro volta genitori di nuotatori. «C'è un motivo: la compagna di Andrea, Giulia Sicbaldi, ha un impianto a Pirri». Tutti insieme appassionatamente in acqua. Dolce e salata, visto che si cimentano anche nelle traversate. «Ho fatto i master e non ho vinto per un soffio ma ho conquistato l'argento nei 50 stile libero e dorso». Aveva 65 anni. E ora che ne ha 78 racconta la sua straordinaria carriera con il pudore di chi non vuole dire di essere stato un grande.

Maria Francesca Chiappe
© Riproduzione riservata