La rivalsa di Demi Moore dagli abusi dello star system
Il body horror “The Substance” ha conquistato stampa e spettatori con la sua critica spudorata e dissacranteDemi Moore (Ansa)
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Una rivalsa come quella compiuta da Demi Moore nell’ultimo anno è di quelle che ricorderemo a lungo. La star sessantaduenne divenuta negli anni novanta una vera e propria icona di Hollywood, è ricordata ancora oggi per il successo di classici come “Ghost”, “Codice d’onore” e “Proposta indecente”; oltre ad aver occupato in più occasioni i tabloid dei periodici sui trascorsi di coppia con l’ex marito Bruce Willis.
Cominciando una fase discendente dopo l’esito negativo dei successivi “Striptease” e “Soldato Jane”, le apparizioni della diva si son fatte man mano sempre più occasionali, portandola a sperare in una nuova opportunità che - oltre alla visibilità mediatica - mettesse in risalto le sue doti artistiche. Dopo aver impressionato il pubblico nel corso delle varie anteprime internazionali ed esser riuscita a creare scalpore come non capitava da parecchio tempo, il body horror “The Substance”, scritto e diretto dalla filmaker francese Coralie Fargeat, ha conquistato la stampa e gli spettatori con la sua critica spudorata e dissacrante al mondo dello star system.
Nel ruolo di co-protagonista insieme a Margaret Qualley, Moore regala un’interpretazione assolutamente memorabile; frutto di un talento rimasto inespresso a lungo, ma anche della rabbia di chi vuole dimostrare il proprio valore contro un sistema discriminatorio e svalutante. Nel corso delle ultime premiazioni ai Golden Globe svoltesi il pomeriggio del 5 gennaio a Beverly Hills, Demi Moore ha portato a casa il premio come miglior attrice protagonista in un film commedia o musicale, superando contendenti del calibro di Zendaya per “Challengers”, Cynthia Errivo per “Wicked” e l’altrettanto promettente Karla Sofía Gascón per “Emilia Pérez”.
Nel discorso tenuto dopo l’assegnazione del premio, non ha potuto fare a meno di tornare indietro col pensiero, quando un produttore la definì «un attrice da popcorn» e dovette sopportare le etichette di chi non ha creduto in lei: «Trent'anni fa, mi hanno detto che non potevo essere riconosciuta come attrice. Ho creduto a quelle parole, e ciò mi ha corroso lentamente nel tempo. Ma poi mi è arrivato sulla scrivania questo script magico, coraggioso, estremo, originale e assolutamente folle, intitolato The Substance, e l'universo mi ha detto che non avevo finito».
Ricordando poi la sensazione avvertita dopo aver ricevuto la parte, ha aggiunto: «Questo ruolo mi ha ricordato che appartengo ancora a questo mondo e che posso portare valore come attrice». In nome di coloro che si sentono inadeguati o ingiustamente giudicati, ha dichiarato infine: «In quei momenti in cui non pensiamo di essere abbastanza intelligenti, o abbastanza belle, o abbastanza magre, o di avere abbastanza successo, o semplicemente di non essere abbastanza, io ho avuto una donna che mi ha detto che non lo sarò mai, ma si può capire il valore del proprio lavoro se si smette di provare a misurarlo. Lo considero un segnale per capire che appartengo a questo mondo. Oggi celebro questo premio come simbolo di pienezza e appartenenza».
La forza di questo discorso si ricollega inevitabilmente alle considerazioni espresse nelle precedenti interviste. Come avvenuto ad esempio lo scorso giugno durante la promozione di “Feud: Capote vs. the Swans”, Moore ha segnalato la tendenza dell’industria cinematografica di condizionare l’assegnazione dei ruoli in base all’età anagrafica, pur constatando che, finalmente, il panorama sta lentamente mutando: «Qualcosa è cambiato. C'è stata un'evoluzione, direi anche rispetto a quando io avevo 40 anni. Perché quando avevo 40 anni, ma non avevo l'aspetto che loro si immaginavano di una donna a quell'età, non sapevano cosa farsene di me. Non ho lavorato molto, perché non avevo né 20 né 30 anni. Credo che se guardiamo al nocciolo profondo della questione, ci troviamo di fronte a questa vecchia idea che il valore e la desiderabilità delle donne fossero legati alla loro fertilità».
Parlando poi di come veniva associata la femminilità al sesso, ha continuato: «È come se ci fosse una vergogna legata all'essere sessuali o all'avere desiderio, perché era legato solo allo scopo e non all'indipendenza. Quindi penso che, avendo acquisito una maggiore consapevolezza di noi stesse e sul nostro corpo in questo modo, si stia riflettendo su questo cambiamento. Chi può dire che qualcuno non è sexy? Era qualcosa di veramente legato a quel periodo della vita di una donna. Penso che stiamo sfatando queste regole».