Kevin Spacey assolto dalle accuse di molestie e abusi sessuali risalenti ad anni compresi fra il 2001 e il 2013.

Un verdetto, accolto dall’attore in lacrime, destinato a mettere fine a un secondo cruciale capitolo del ciclone MeToo piovutogli addosso a partire dal 2017, dopo una prima sentenza di non colpevolezza già pronunciata mesi fa in patria, negli Usa.

L'esito del processo è arrivato come un'ancora di salvezza per il 63enne due volte premio Oscar - American Beauty e I soliti sospetti -, alla ricerca di una via d'uscita dall'impasse professionale patita a Hollywood e non solo in questi anni sulla scia delle ombre calate sulla sua reputazione.

Dopo tre mezze giornate e oltre 13 ore di camera di consiglio effettive dai 12 membri della giuria popolare (nove uomini e tre donne) radunati di fronte al giudice togato Mark Wall presso la Southwark Crown Court londinese, l’attore e regista americano è stato scagionato da tutti e nove i capi d'accusa sopravvissuti in dibattimento (dei 12 originariamente presentati dalla polizia) a coronamento di un processo iniziato il 28 giugno.

Le accuse contestate, rispetto alle quali Spacey si è sempre proclamato legalmente innocente, riguardavano denunce raccolte in due tranche da Scotland Yard: dapprima su episodi di presunta aggressione sessuale ai danni di un giovane aspirante attore fra il 2001 e il 2004; poi per altri asseriti abusi evocati più di recente da tre uomini (di età compresa fra 20 e 30 anni circa all'epoca dei fatti) in riferimento al periodo 2005-2013.

Bugie, o al massimo equivoci, era la difesa di Spacey, che ha ammesso di aver fatto uso di alcolici e stupefacenti e di essere un individuo «promiscuo», sessualmente spregiudicato, incline «al flirt», ma solo nell'ambito di corteggiamenti e interazioni «consensuali». Comportamenti forse discutibili, talora. E tuttavia non crimini, come la giuria di Londra ha messo infine oggi nero su bianco.

(Unioneonline/D)

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