Ci pensò già Steven Spielberg nel 1985 a realizzare la sua versione cinematografica del romanzo di Alice Walker “Il Colore Viola”. Come alcuni ricorderanno, l’esito dell’adattamento è rimasto tristemente legato al record negativo di nessuna vittoria agli Oscar su ben undici candidature, pur con un risultato al botteghino più che soddisfacente. A distanza di quasi quarant’anni, lo stesso racconto oscuro sulla società afroamericana nei primi del novecento torna in un periodo storico pienamente azzeccato, e lo fa scegliendo a questo giro d’ispirarsi al musical di Broadway. Ricomparso in veste di produttore, Spielberg cede il comando dietro la cinepresa al collega Blitz Bazawule, che avvalendosi dell’esperienza consolidata in ambito musicale compie un’efficace sintesi di differenti linguaggi, attirando l’attenzione della critica con varie nominations ai Critics Choice Movie Awards, ai Golden Globe e agli imminenti Academy Awards.

In Georgia, nel 1909, Celie viene costretta ancora giovane ad abbandonare i propri figli, nati a seguito degli abusi subiti dal padre. Nel luogo in cui è cresciuta gli uomini non riconoscono alle donne la parità dei diritti, e fanno uso della forza per ridurle a mero strumento il cui fine è soltanto quello di procreare e occuparsi del focolare. A seguito di un accordo, Celie viene affidata in moglie ad Albert “Mister” Johnson, un rude contadino intenzionato a servirsi di lei unicamente come serva su cui sfogare all’occorrenza i propri malumori. La sola persona che nutre dell’affetto reale per Celie è sua sorella Nettie, coltivando insieme a lei il sogno di una vita lontana dai soprusi in cui poter finalmente essere se stesse. Ma dopo aver chiesto asilo presso l’abitazione di Mister, Nettie subirà dal coltivatore un orrendo ricatto costringendola a scappare per aver salva la vita. Ancor più dolorosa la scelta compiuta da Mister di nascondere a Celie le lettere spedite dalla sorella per ricevere sue notizie, perdendo così ogni traccia di essa.

Trascorsi alcuni anni di logorante immobilità, la cantante jazz Shug Avery passa in città a fare visita alloggiando in casa del contadino, suo ex amante: comincia allora a farsi strada nella vita di Celie un inaspettato cambio di prospettive. Adottare il registro espressivo del musical ha permesso di stabilire due piani di significato opposti: al “buio” delle disparità fra sessi, del conflitto personale vissuto dai personaggi e dei risvolti drammatici di alcune fasi narrative si contrappone la “luce” degli scorci paesaggistici ben visibili in America sudorientale, dei caratteri tipici della cultura “black” - sia sul profilo comportamentale che per lo stile e movenze più comuni messi in evidenza dalle coreografie - del piano spirituale innalzato dalle musiche blues e gospel che infondono spessore al fluire degli eventi come al retroterra da cui essi scaturiscono. Sia sull’aspetto vocale che su quello interpretativo gli eccezionali attori dimostrano grande dimestichezza, specie nei momenti di estrema tensione e trasporto emozionale in cui primeggiano il trio costituito da Fantasia Barrino, Taraji P. Henson e Colman Domingo. Un rifacimento che riesce brillantemente a distillare il senso di speranza dall’elemento tragico, sulla scia un passato remoto inevitabilmente riconducibile alle infinite complessità del nostro presente.

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