I magistrati si scagliano contro la serie tv Gomorra, accusata di "umanizzare" forse in maniera eccessiva il mondo della criminalità organizzata.

In due giorni sono infatti tre le pesanti critiche rivolte al noto prodotto cinematografico che anche quest'anno sta facendo registrare numeri da capogiro su Sky.

"La serie televisiva – ha spiegato Giuseppe Borrelli, uno dei tre coordinatori della Dda di Napoli, rispondendo alle domande di alcuni studenti in un incontro a Bologna - offre una rappresentazione folkloristica dei clan, una rappresentazione pericolosa perché distoglie l'attenzione dall'attuale configurazione delle camorra".

Più tardi Borrelli ha poi tenuto a precisare che la qualità della produzione non si discute perché "di ottimo livello", ma il punto è che "oggi la camorra ha superato lo stato di contiguità con i ceti professionali, l'imprenditoria, una parte della politica. I clan esprimono una propria classe dirigente di professionisti, imprenditori e politici. E questo rappresenta motivo di preoccupazione. La camorra raccontata in Gomorra è un'entità paradossalmente tranquillizzante".

Il magistrato ha quindi spiegato di aver seguito in tv solo alcune puntate della terza serie, ma che di fatto ben si differenziano dal film di Matteo Garrone ispirato al romanzo di Saviano. "Era un'altra cosa – ha osservato -, riusciva a descrivere la bestialità di alcuni comportamenti, degli istinti più bassi dei protagonisti. Ma anche il film raffigura una realtà di tanti anni fa".

Alle parole di Borrelli si aggiungono poi quelle del capo del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, intervistato domenica pomeriggio da Lucia Annunziata su Raitre. Il procuratore, che ha affermato di non aver mai visto una puntata della serie, ha comunque specificato che "evidenziare i rapporti umani come se la camorra fosse un'associazione come tante altre non corrisponda a quello che realmente è, la camorra è fatta soprattutto di violenza".

Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, ha infine sostenuto che l'immagine della criminalità data dalla fiction, con personaggi che finiscono per risultare "troppo simpatici" tra la gente, rappresenta un vero e proprio danno nella lotta alle cosche.

A difesa della serie di Stefano Sollima arrivano invece le dichiarazioni al Corriere del Mezzogiorno di Luciano Brancaccio, docente dell’Università Federico II e autore del testo "I clan di camorra. Genesi e storia" , edito da Donzelli.

Secondo Brancaccio non si capisce perché "un magistrato debba esprimere un giudizio in merito, né perché la fiction possa essere vista come arma o leva contro il fenomeno criminale. Perché un vertice della magistratura deve lanciare una fatwa contro una fiction? Come se potessimo risolvere il problema convincendo il popolo che la camorra è brutta".

(Redazione Online/v.l.)
© Riproduzione riservata