"You shall not pass!" In un istante esplode un boato di gioia. Questa è la cronaca di uno degli eventi più esaltanti della Festa del cinema di Roma. Ian McKellen, uno dei massimi interpreti del teatro shakespeariano, punta di diamante dell'attorialità inglese e icona assoluta del cinema di genere grazie al suo Magneto di X-Men e, soprattutto, all'incomparabile Gandalf de "Il Signore degli anelli", ha gridato a squarciagola una delle sue battute più celebri: quel «Tu non puoi passare!» che il barbuto mago scaglia contro il famelico Balrog prima di precipitare nel vuoto.

Protagonista, nei giorni scorsi, di uno degli incontri tra pubblico e star del grande schermo, vero fiore all'occhiello della gestione Monda, l'artista britannico, venuto per presentare il documentario biografico a lui dedicato, "McKellen: Playng the part", con un fascino incontenibile e l'immancabile ironia british, ha raccontato la sua vita sul palco e ci ha detto di quanto il suo essersi dichiarato omosessuale l'abbia reso un uomo e un artista migliore.

Cosa è la recitazione?

«In passato pensavo significasse mascherarsi con parrucche, voci buffe, fare finta di zoppicare indossando abiti diversi. In realtà, e qui c'entra il mio essere gay, vuol dire rivelare e non nascondere. Ciò che ho capito nel tempo è che siamo tutti capaci di fare qualsiasi cosa: di uccidere, innamorarci, essere crudeli, gentili, sconsiderati, saggi. Nei miei ruoli lo metto solo in pratica. Con la fantasia, chiunque può fare qualsiasi cosa».

Come decide che un ruolo è adatto a lei?

«Mi piace fare cose diverse. Il problema è che dopo Gandalf, che ha settemila anni, mi sono solo arrivate proposte per parti di persone anziane con barbe lunghe. Mi è stato per giunta chiesto di interpretare Dio: uno ancora più decrepito di Gandalf. Non ha senso essere nuovamente un mago, esattamente come, dopo Magneto, non realizzerei un altro film di supereroi. Voglio affrontare qualcosa di difficile. Nella mia carriera ho fatto televisione, soap opera, pantomime, Shakespeare e opere moderne, ma ancora non un musical. Ecco, quello sarebbe interessante. Il fatto che non sia in grado di cantare non dovrebbe essere un problema».

Lei ha dichiarato la sua omosessualità quando aveva quarantanove anni. Questo l'ha danneggiata professionalmente?

«Fare coming out è una scelta personale, ma smettere di mentire a se stessi e agli altri è la cosa migliore. Da quando l'ho fatto, mi è stato detto che le mie qualità d'attore sono migliorate. La mia recitazione ne ha tratto beneficio perché in questo mestiere devi raccontare le verità della natura umana. Certo non è facile. Alcuni hanno paura del giudizio di genitori anziani, di perdere il lavoro o il rispetto degli altri, ma spesso ciò che temiamo non accade. La mia carriera ha avuto un'impennata poco dopo aver deciso di dichiararmi. Vado nelle scuole e incoraggio i ragazzini a rispettarsi a prescindere dalla propria sessualità. Ci sono molti giovani che raggiungono subito la forza e la consapevolezza di sé che io ho acquisito molto più tardi. Questo vuol dire che una parte del mondo sta migliorando».

Non ha mai desiderato avere figli?

«Fino a quando avevo ventinove anni era perfino illegale per me avere rapporti sessuali. Ero un criminale. Adottare figli? Non veniva neanche contemplato. Avrei voluto? No. Ero troppo egoista. Ho sempre pensato che una delle cose migliori dell'essere gay fosse il non avere figli. Era materia per persone e rapporti maturi: ora è troppo tardi. Poco tempo fa è venuta da me una bambina di cinque anni che voleva salutare Gandalf. È stato delizioso e non mi son dovuto neanche preoccupare della sua istruzione o dirle a che ora dovesse andare a dormire la sera».

Sembra inscalfibile. C'è qualcosa di cui ha paura?

«La stupidità.»

Marco Cocco

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