Il suo patrimonio genetico di sardo “predetermina una comunicazione aggressiva”. È uno dei passaggi contenuti negli atti relativi alla vicenda di un 45enne della provincia di Sassari, che vive in Repubblica Ceca, da tempo in causa con la ex compagna per l’affido del loro figlio di 8 anni.

Il padre – lo chiameremo Giovanni a tutela sua e del minore – sta combattendo una dura battaglia fatta di carte bollate, denunce e appelli per un solo motivo: avere gli stessi diritti e doveri della madre del bambino.

Non ha esitato a mettere in atto azioni anche eclatanti, incatenandosi al cancello dell’Ospod, i servizi sociali cechi, ma nulla è cambiato: “Nessuno mi ha ascoltato – spiega a UnioneSarda.it che lo ha raggiunto al telefono – e nessuno mi ha dato risposte”.

Tutto comincia nel 2016 ma per anni Giovanni, seppur limitato nel suo ruolo di padre, si attiene a quanto stabilito per lui da altri. “Poi ho deciso che non c’era di che vergognarsi, perché l’unica cosa che ho sempre chiesto è quella di essere trattato da genitore ‘normale’, con gli stessi diritti e doveri dell’altro, ma soprattutto chiedevo di poter stare con mio figlio in egual misura”.

Come vi siete conosciuti lei e la sua ex compagna?

“Eravamo in Spagna, io insegnavo al Conservatorio, è nata una relazione e poi lei è rimasta incinta. Io, che volevo stare con mio figlio, ho scelto di seguirla in Repubblica Ceca dove lei aveva una casa e un lavoro. Mi è sembrato giusto così, una decisione responsabile, secondo me. Poi, era il 2012, non avevo un’occupazione fissa in quel Paese e lo Stato garantisce un assegno per tre anni alle madri; quel contributo rappresentava un appoggio economico importante in attesa di altre opportunità”.

Poi cosa è successo, il vostro rapporto si incrina?

“Tra il 2015-2016 vengo mandato via di casa. Io volevo solo delle garanzie per poter vedere mio figlio a cui ripetevo ‘tornerò, non ti abbandono’, ma la madre ha ostacolato in ogni modo le mie visite fino a quando ho dovuto chiedere aiuto alle autorità”.

Cos’hanno decretato?

“Che il bambino doveva stare con la mamma e io dovevo pagare gli alimenti. Si dice ovunque che tutte le persone sono uguali, che hanno gli stessi diritti e doveri, nella realtà non è così. Infatti posso vedere mio figlio non quando voglio, ma in giorni e orari rigidamente stabiliti: da giovedì a lunedì ogni due settimane e per il resto 5 ore per due giorni a settimana”.

Lei cosa chiede?

“L’affido congiunto, che non viene concesso solo in presenza di determinate condizioni, ad esempio logistiche. Ma io vivo a 15 minuti da casa sua e dalla scuola, quindi posso adempiere a tutti i miei doveri. Oppure potrebbe stare con me una settimana e la successiva con la madre, cosa che aveva anche scritto una psicologa super partes che aveva parlato con noi genitori e col bambino”.

Invece?
“Niente da fare. Il giudice, e siamo nel 2018, stabilisce la suddivisione di giorni e orari, quindi decido di fare ricorso alla corte regionale, il secondo grado di giudizio”.

Qual è l’esito?

“Dato che sono straniero, scrivono che non parlo bene la loro lingua, il ceco, e che è ‘inconcepibile che ci sia un interprete tra me e mio figlio’. Si pensi solo che ha quasi nove anni e parla il sardo – che uso con lui da quando è nato -, l’italiano, il ceco e capisce lo spagnolo. E di nuovo mi danno torto”.

Ma lei non si arrende.

“No, e ricorro alla corte costituzionale perché sono stato discriminato in quanto straniero. La mia denuncia viene rigettata, ma i giudici ammettono che la discriminazione c’è stata e quindi ordinano a tutti i tribunali di non applicare gli stessi criteri di giudizio relativi alla provenienza linguistica nelle loro udienze. Ma serve a poco: è come dire a me, innocente in carcere, che è vero che non sono colpevole ma intanto resto dietro le sbarre, già che ci sono”.

Tutto questo a fine 2019.

“Sì, poi arriva il 2020 e porta con sé tutte le restrizioni dovute alla pandemia da coronavirus. Io non vedo mio figlio, la madre spesso non rispetta gli appuntamenti e, anzi, innalza anche le misure di protezione impedendomi i contatti col bambino. Per un mese e mezzo ho cercato di fare pressione sui Servizi sociali, sono arrivato anche a incatenarmi di fronte al Comune. Pensavo di poter far muovere qualcosa, oltre all’opinione pubblica. Nulla è cambiato, neanche la diffida inviata alla mia ex compagna per mancato rispetto degli accordi ha avuto un peso in sede di giudizio. La verità è che sono state le autorità stesse a creare e ad alimentare l’attrito tra noi, elemento che per legge impedisce la concessione dell’affido congiunto”.

Dopo i tre gradi di giudizio aveva altre armi?

“Ricominciare dal primo, e la mia richiesta viene accolta nell’ottobre 2020. Alla prima udienza il giudice dice subito che non vuole sapere nulla di quanto accaduto nelle aule in precedenza, vuole ricominciare da capo e invita tutti a trovare una mediazione. Poi però il giudice cambia, ne arriva un altro, e quello nuovo riapre la discussione sulle responsabilità genitoriali e la necessità di una terapia familiare. Ovviamente avevamo già fatto tutto il percorso, a partire dal 2017, ma non siamo arrivati a un punto condiviso”.

Poi cos’è accaduto?

“All’ultima udienza, nel febbraio 2021, ho detto subito che non volevo un interprete proprio per dimostrare che la lingua la parlo e anche bene. Quindi sono intervenuto sempre in ceco. Ma al posto di farmi domande sulla mia responsabilità paterna o chiarirmi perché non avessi diritto di decidere niente sull’educazione di mio figlio e non potessi neanche sapere della sua salute, hanno sottolineato la storia dei compiti, cioè io non sarei in grado di seguire il bambino, e della firma su ogni compito che per un mese non ho messo. E non l’ho fatto per protesta perché nessuno parlava con me, anche la maestra ha tentato di non darmi informazioni. Infatti tutta la questione della barriera linguistica è nata proprio da una direttrice di istituto”.

Dalla Sardegna ha ricevuto qualche sostegno?

“Era stata stesa una mozione che poi non è mai stata presentata ma conteneva dettagli importanti, per esempio si richiamava a quanto scritto dall’avvocato della mia ex, ossia che il mio patrimonio genetico di sardo mi porta a essere egocentrico e verbalmente aggressivo”.

Ha scritto anche al ministro della Giustizia ceco.

“Sì, una lettera aperta dove chiarisco che ora come ora posso vedere mio figlio 8 giorni al mese, e invece volevo solo essere un padre con gli stessi doveri e diritti della madre. Che comunque rispetto, perché è e sempre sarà la mamma del mio bambino. E ho chiesto perché devo dimostrare a una Corte che posso comunicare in ceco e che posso aiutare mio figlio a fare i compiti? Perché sono stato lasciato solo?”.

Ora a che punto è la sua vicenda?

“Sto preparando un’istanza per portare mi figlio in Sardegna in estate perché ha diritto di rivedere la sua famiglia paterna: cugini, zii, zie, e anche i suoi amichetti di cui mi chiede in continuazione. Ho due settimane di ferie a luglio e due ad agosto, vorrebbe dire sottoporlo a una trafila di test anti-Covid in ospedale prima di partire e al rientro. La madre è d’accordo per accorpare tutto il periodo, ad esempio che trascorra luglio con lei e agosto con me. Però, ha precisato, ‘non quattro settimane con te, bensì 3’. Chi è lei per deciderlo? Prima voglio ricorrere al giudice e se non avrò risultati tenterò un accordo con la mia ex compagna e con i servizi sociali”.

È una vera e propria battaglia la sua.

“Qui non ci sono né vinti né vincitori, abbiamo perso tutti. E lo capisco dallo sguardo di mio figlio. Io non sono un suo amico, non voglio vederlo cinque ore il martedì e cinque il giovedì, voglio stare con lui, portarlo a scuola, che non solo sappia che ci sono ma che lo veda, che mi senta presente il più possibile. Vorrei solo essere un padre con gli stessi diritti di una madre”.

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