Pensava di fermarsi solo un paio d'anni negli Stati Uniti, invece dal 2002 è ancora a San Diego, California. Manuela Raffatellu, 45enne di Sassari, laurea in Medicina nell'ateneo della sua città, è oggi professore ordinario all'Università della California: "Lo dico sempre ai miei studenti: quando si arriva negli Usa, che dal punto di vista della ricerca e della scienza sono una sorta di 'Paese dei balocchi', poi è difficile andarsene".

Considerata profilo d'eccellenza nella ricerca scientifica americana in campo microbiologico e immunologico, nel 2018 Microsoft e Klecha l'hanno inserita tra le "Inspiring Fifty italiane", le 50 donne più influenti nel mondo della tecnologia in Italia.

Sorpresa?

"È stato per me un bellissimo riconoscimento: Microsoft e Klecha avevano lanciato una selezione per curriculum e io sono stata scelta, considerando anche la giovane età, per avere raggiunto traguardi professionali alti nel campo della scienza. Nella lista, insieme a persone italiane residenti in Italia e nel mondo, c'era anche un'altra sarda, Alessandra Todde (attualmente sottosegretario allo sviluppo economico, ndr)".

Di cosa si occupa?

"Il mio campo di ricerca è sulle infezioni intestinali, soprattutto salmonella. Mi occupo anche di probiotici e di microbiota, ossia i batteri che vivono normalmente nell'intestino senza danneggiarlo, per capire come questi batteri interagiscono con l'intestino e quali portano benefici e in che modo".

Le sue attività hanno a che fare con l'emergenza Covid?

"Sì, anche se non a livello operativo. Stiamo completando un lavoro portato avanti in laboratorio. Una mia ex 'post-doc', ora professore all'Università di Città del Messico, ha prelevato dei campioni di sangue da pazienti Covid in Messico, dove sfortunatamente non mancano, e stiamo osservando i recettori espressi in alcune cellule del sangue".

Con quale obiettivo?

"Studiare alcune cellule immunitarie (i neutrofili), presenti in modo elevato nei malati Covid con prognosi peggiore, con lo scopo di capire perché queste cellule esprimono recettori che possono essere collegati con una forma più severa della malattia; questo potrebbe aiutarci a limitare il danno".

Com'è la situazione in California?

"Inizialmente abbastanza tranquilla, compatibilmente con la pandemia, fino al periodo del Ringraziamento, festa nazionale americana che ricorre l'ultimo giovedì di novembre. Subito dopo le persone, stanche delle restrizioni di un anno difficile, hanno cominciato a riunirsi senza osservare le necessarie precauzioni, determinando così un aumento esponenziale di contagi e saturando le terapie intensive. Quindi sono scattate le chiusure, come ovunque, con la difficoltà di bilanciare le esigenze sanitarie e quelle dell'economia".

E sul lavoro?

"La mia Università ha iniziato un intenso programma vaccinale all'interno di uno stadio, mi sembra che siano 5mila le persone che ogni giorno vengono sottoposte alla vaccinazione. Spero che col vaccino si riesca a diminuire gli accessi ospedalieri e si torni il prima possibile alla vita di prima. Per il resto, mascherine, distanziamento, e da poco i ristoranti hanno potuto ricominciare a lavorare ma solo con servizio all'aperto".

I test alla popolazione sono un buon metodo per contrastare l'epidemia?

"Testare e tracciare è la cosa più importante, la mia Università ha fatto un lavoro eccezionale. Ci sottoponiamo al tampone molecolare ogni settimana: abbiamo delle macchinette, tipo quelle automatiche, si schiaccia un tasto e si riceve il tampone. Qui infatti ci sono molti meno casi rispetto a tutto il territorio circostante. Un conto è fare un tampone e basta, un altro è fare i molecolari periodicamente come noi. Ovviamente tutto questo richiede un investimento notevole".

La vaccinazione a tappeto?

"È indispensabile, ma vivendo in un mondo globalizzato deve essere effettuata ovunque. Purtroppo il virus si è diffuso dappertutto, con alcune eccezioni come la Nuova Zelanda, Taiwan e l'Australia che hanno fermato l'epidemia. Hanno chiuso immediatamente le frontiere, solo i cittadini potevano entrare, i turisti no. E chiunque arriva in quegli Stati deve fare una quarantena di 14 giorni".

Strategia vincente?

"Direi di sì, dato che hanno controllato la circolazione del virus. Così facendo hanno potuto pensare a una campagna vaccinale in un secondo momento dopo aver bloccato l'emergenza. Questo, si sa, crea barriere al turismo, ma hanno dovuto fare una scelta, risultata vincente".

Anche la Sardegna avrebbe potuto farlo?

"La Sardegna avrebbe potuto trarre vantaggio del suo isolamento, come hanno fatto le altre isole che ho citato. Adesso è importante la vaccinazione a livello globale. Se anche tutti i sardi fossero già vaccinati, la domanda sarebbe: e quelli che vengono da fuori? Le regioni, ma allargandoci anche agli altri Stati, dovrebbero procedere di pari passo. Intanto cominciare a vaccinare i sanitari e gli ultra 65enni, si potrebbe vedere così già un gran beneficio".

Manuela Raffatellu (foto concessa)
Manuela Raffatellu (foto concessa)
Manuela Raffatellu (foto concessa)

Perché secondo lei c'è ancora diffidenza verso il vaccino?

"Penso che ci sia un errore di comunicazione, anche da parte di noi scienziati. Ma non è facile comunicare la scienza e i suoi progressi a chi la scienza non l'ha studiata".

Esistono davvero dei rischi?

"I vaccini anti-Covid sono sicuri. I rischi (minimi) ci sono in qualsiasi procedura o trattamento sanitario e bisogna sempre valutarli insieme ai benefici. Ma il rischio di ammalarsi di Covid, e di patirne le conseguenze, è molto più alto di quello legato al vaccino. Ho amici che si sono ammalati in modo lieve e da mesi hanno problemi neurologici".

Quindi effetti collaterali del virus?

"Esatto, non solo neurologici ma anche cardiovascolari ad esempio. Parliamo sempre dei pazienti cosiddetti 'long Covid', quelli che anche dopo la malattia presentano ancora le conseguenze".

Ci sono nuovi studi in atto?

"Uno molto importante, uscito qualche mese fa, è quello del gruppo guidato da un italiano a San Diego, Alessandro Sette. Hanno scoperto che ci sono persone che, nonostante non siano state esposte al Covid, hanno una certa resistenza al virus, una sorta di immunità cellulare. In uno studio successivo, hanno dimostrato che l'immunità permane per molti mesi. È uno studio centrale perché la speranza è che l'immunità possa persistere a lungo".

Ma ci si può riammalare?

"Questo non lo sappiamo, ad alcuni è successo in forma più lieve. Non abbiamo certezze sulle varianti del virus, ad esempio. Facciamo il caso dell'influenza: ogni anno ci sono nuove varianti che vengono inserite nel vaccino. Se fosse necessario, quindi, si potrebbe formulare un nuovo vaccino con le nuove varianti e, ovviamente, i tempi sarebbero di molto ridotti rispetto a quando abbiamo ottenuto il primo vaccino anti-coronavirus".

Intanto quali strumenti si potrebbero utilizzare per fronteggiare la pandemia in Sardegna?

"Non voglio insegnare niente a nessuno, ma l'esperienza della Nuova Zelanda e di Taiwan ci dice cosa ha funzionato. Il tampone non è sufficiente: può essere negativo oggi e positivo tra due giorni, quindi non è garanzia di negatività. Perché, allora, non trarre ispirazione da altre realtà? Che sono comunque sempre altre isole? E poi da valutare e non tralasciare c'è l'impatto economico, mi rendo conto che in una regione che vive di turismo certe scelte provochino conseguenze pesantissime".

Da quanto non torna a casa?

"Dal Natale 2019. Per ora aspetto di essere vaccinata e che lo sia anche la mia famiglia, i miei genitori e le mie sorelle, così potremo avere più sicurezza".

Lei ha dovuto o ha voluto lasciare la Sardegna?

"Ho voluto lasciarla perché sono sempre stata molto curiosa e aperta al mondo, avevo il desiderio di partire per formarmi, per imparare, per crescere, poi quando arrivi negli Usa vedi certe prospettive di ricerca ad alto livello che non trovi in molti altri posti. E non riparti più. La mia storia è uguale a quella di tante altre persone. Ho avuto la fortuna di fare della mia passione il mio lavoro. Mi piacerebbe tornare, certamente, ma molto più in là con gli anni. Il mio sogno è quello di arrivare all'età della pensione e trascorrere sei mesi a San Diego e sei mesi in Sardegna".

Cosa ci insegna la pandemia?

"Che molte cose possono essere fatte a distanza e da qualsiasi luogo. Prima forse non lo sapevamo, ora abbiamo dovuto impararlo".
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