La definizione della motivazione del Premio è un po’ astrusa, ma vale la pena riportarla letteralmente perché racchiude ciò che Laura Marongiu, 35enne di Nuoro, ha fatto nell’ambito della sua ricerca scientifica per poter ricevere questo importante riconoscimento alla Bicocca di Milano: “Per lo studio del ruolo sia degli inositoli nella risposta immunologica sia delle cellule dentritiche nel corso della patogenesi del Covid-19”.

Questa la motivazione rivolta alla scienziata nuorese, alla cerimonia per i “Giovani talenti”, sesta edizione, alla quale hanno preso parte il rettore Giovanna Iannantuoni e il presidente emerito dell’Accademia dei Lincei, Alberto Quadrio Curzio. Si tratta di un riconoscimento riservato ad assegnisti di ricerca e a ricercatori under 36 dell'Ateneo milanese basato su qualità, originalità e impatto della produzione scientifica. Le candidature sono state 99 per sette macro-aree disciplinari, e gli assegnisti riceveranno un diploma e un finanziamento per la loro attività.

La ricercatrice sarda è arrivata a un’importante scoperta relativa al recettore Cd14, in particolare, “un evento molecolare o meglio una serie di meccanismi molecolari che questo recettore induce quando viene a contatto con dei batteri”, spiega a L’Unione Sarda la giovane, che fino alla maturità conseguita al Fermi di Nuoro ha vissuto nella sua città natale e “dove mi piacerebbe tornare, ma per fare questo lavoro”.

In cosa consiste esattamente questo evento molecolare?

“Quando i batteri entrano in contatto col nostro corpo, ci sono delle cellule chiamate ‘sentinelle’, sono quelle dentritiche, che avvertono la presenza di un qualcosa di estraneo e si attivano per indurre una risposta immunitaria che permettere di combattere il batterio. Il recettore Cd14 era già noto in realtà, ma non era noto che potesse sentire le componenti batteriche e attivare una risposta immunitaria”.

Quanto è importante questa scoperta?

“Moltissimo, perché in caso di patologia in cui l’infiammazione è troppo estesa, bisogna bloccarla. Per questo prendiamo gli antinfiammatori. Scoprire nuovi meccanismi permetterà di avere in futuro dei nuovi farmaci, chiamiamoli di terza generazione”.

Avete preso in considerazione casi particolari?

“Sì, abbiamo esaminato una malattia in cui l’infiammazione è esagerata: l’artrite reumatoide. Se il meccanismo infiammatorio viene bloccato, si ha di conseguenza un miglioramento della patologia”.

La vostra ricerca avrà un impatto concreto nella vita quotidiana delle persone?

“Certamente, anche in quelle ad esempio che vengono sottoposte a trapianto, le cellule dentritiche si attivano per la presenza dell’organo di un’altra persona. I farmaci attualmente usati hanno molti effetti collaterali perché agiscono su tutte le cellule, mentre il meccanismo che abbiamo proposto permette di bloccare il processo selettivamente con delle nanoparticelle. Insomma riduciamo molto gli effetti aspecifici”.

Quale sarà il passo successivo, nuovi farmaci?

“Noi ci occupiamo della fase precedente, ora siamo allo step dello studio degli effetti. La molecola l’abbiamo brevettata, le case farmaceutiche potrebbero acquistare il brevetto e poi produrre nuovi farmaci, un po’ come è successo con i vaccini contro il Covid”.

C’è un legame tra il vostro lavoro e il coronavirus?

“Abbiamo studiato sia le cellule dentritiche del topo e sia quelle dell’uomo, e abbiamo visto che in caso di pazienti positivi queste funzionano male, l’immunità adattativa non si attiva. In pratica la ricerca consentirà nuovi sviluppi nella conoscenza dell’immunopatologia della malattia”.

L’opportunità di raggiungere questi traguardi in Sardegna sarebbe mancata?

“Probabilmente sì o, meglio, sarebbe stato difficile ottenere gli stessi risultati nel medesimo tempo. Quando ho lasciato la Sardegna ero consapevole che questo è un lavoro difficile da fare in Italia, forse nell’Isola impossibile. Sono andata all’Università Bicocca perché volevo lavorare con Francesca Granucci, una delle più importanti immunologhe. Quando si sceglie un ateneo si è consapevoli di andare incontro magari a un grande sacrificio ma nelle giornate come oggi o quando guardi al microscopio e scopri che quello che ipotizzavi corrisponde al vero… capisci che ne è valsa la pena”.

Come tanti “cervelli in fuga” ha pensato che un giorno potrebbe tornare?

“Assolutamente sì, sarebbe il mio sogno. Portare nella mia terra la mia esperienza, stabilire nuove tecnologie e aggiungere quello che alla Sardegna può mancare in ambito immunologico e rendere gli atenei sardi più competitivi”.

Nel suo curriculum ci sono esperienze all’estero, si è mai sentita un’emigrata?

“Tutti i giorni. La vita a Milano è molto diversa da quella di Nuoro, che mi manca tantissimo. Quando ero negli Stati Uniti la nostalgia era ancora più forte perché quello è proprio un altro mondo. Da giornate tranquille e più ‘genuine’ sono passata a uno stile caotico e accelerato, con la mente sempre in funzione. E poi il mare, per vederlo ora devo mettermi in macchina per almeno due ore, e comunque i colori sono completamente diversi, non quelli della mia Sardegna certamente”.

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