«Dove ho messo le chiavi della macchina? Le avevo in mano sino a un istante fa…» A chi non è mai capitato di trovarsi in una situazione simile, con la memoria che fa cilecca per un dettaglio destinato a riaffiorare poco dopo? «Niente di grave», ci rassicura Gianluca Floris, neurologo della Neurologia e del Centro per disturbi cognitivi e le demenze del Policlinico Duilio Casula: «Sono i cosiddetti vuoti di memoria, intesi come una perdita temporanea del ricordo di fatti o avvenimenti recenti. Succede a tutti di dimenticare se si è chiusa a chiave una porta, a che ora fosse un appuntamento o dove avevamo parcheggiato l’auto. È un fenomeno comune che non ci deve preoccupare. Il discorso cambia quando gli episodi si ripetono e si intensificano, andando a incidere in modo sempre più marcato sulla vita delle persone. A quel punto è consigliabile rivolgersi a un medico».

Prima però facciamo un passo indietro per chiarire che cos’è, la memoria, depositaria del nostro passato. «In senso assoluto», spiega Floris, «la memoria normalmente intesa è l’abilità di apprendere nuove informazioni, ritenerne traccia nel tempo e richiamarle quando è necessario. Si definisce “a breve termine" o primaria, quando ritiene le informazioni per alcuni secondi; “a lungo termine” o secondaria, quando conserva e permette di richiamare i ricordi anche dopo anni. In base alla natura del materiale che viene rievocato, si distinguono una memoria episodica (eventi) da una memoria semantica (conoscenze e concetti), o ancora una memoria procedurale sottese da diversi meccanismi. Tutte possono diventare disfunzionali o alterate, con conseguenze diverse da caso a caso».

Che cosa provoca i vuoti di memoria? «Spesso la risposta è nello stile di vita troppo frenetico che conduciamo: sonno ridotto, disturbato o irregolare, esposizione continua a stress e a stimoli, utilizzo di determinati farmaci, abuso di alcol. Come anticipato prima», prosegue il medico, «il quadro clinico si complica se questi episodi di amnesia tendono a ripetersi anche nel corso della stessa giornata e ad accentuarsi progressivamente nel tempo, diventando sintomi di un disturbo cognitivo vero e proprio e quindi anche di malattie come l’Alzheimer. In un presente segnato da un aumento generale dell’età senile, demenza e Alzheimer sono considerate priorità mondiali della salute pubblica. E nonostante le “blue zone” della longevità felice che si trovano in Sardegna e in pochi altri luoghi al mondo, la nostra Isola presenta numeri in linea con il resto d’Italia: dopo i 65 anni un’alta percentuale della popolazione lamenta un disturbo della memoria, con circa 24.000 casi stimati di demenza».

Che fare quando si sospetta un esordio di Alzheimer? «Di solito sono i familiari o le persone che vivono vicino a chi è interessato dal disturbo a rivolgersi al medico di base, che indirizza poi il paziente dallo specialista. Per individuare l’Alzheimer è importante una diagnosi in fase iniziale, trattandosi di una patologia che per lungo tempo comporta un deficit cognitivo lieve e una perdita della memoria che non coincide con la perdita dell’autonomia. I centri specializzati si stanno concentrando sempre più su come stilare diagnosi precoci, l’obiettivo prioritario; inoltre viene raccolta in maniera mirata la storia del paziente, che si sottopone a test cognitivi e della memoria in senso specifico, per chiarire se si tratta di variazione fisiologica o indicatore di una patologia. L’Alzheimer è una malattia complessa e multifattoriale; importante elaborare una terapia combinata con cure farmacologiche e non farmacologiche (terapia di stimolazione cognitiva, musicoterapia, counseling al paziente e ai parenti su come comportarsi di fronte a determinati sintomi, perché è una situazione che investe tutta la famiglia). È inoltre fondamentale la prevenzione agendo su fattori di rischio modificabili quali ridotta attività fisica, isolamento sociale, obesità, abuso di alcol e sigarette, ipertensione e diabete».

Luca Mirarchi

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