Tornare a Sassari per curare e restituire. «Sono qui da quattro mesi - afferma Salvatore Masala, direttore dell’istituto di Scienze Radiologiche del capoluogo turritano - Vi mancavo dal 1992». Quando, studente 25enne, decise di seguire a Roma il professor Giovanni Simonetti, eminenza massima della radiologia, con cui iniziò una carriera unica.

«A quel tempo - continua il professore ordinario di Diagnostica per immagini dell’ateneo sassarese - questo istituto era un fiore all’occhiello. Deve ritornare a esserlo». Riversandovi tutti i saperi acquisiti in oltre trent’anni di attività nella sua specializzazione: l’interventistica muscolo-scheletrica. «Un settore che fino al 1999 non esisteva. Ho creato io nella capitale, a Tor Vergata, la scuola italiana».

Polo d’attrazione per professionisti da tutto il vecchio continente che venivano a imparare la terapia per queste patologie. «E ora mi auguro raggiungano invece questa città. Ma per riuscirvi stiamo attivando due percorsi con l’aiuto del direttore generale Aou Antonio Spano e del rettore Gavino Mariotti».

Il primo consiste nel ripristino della scuola di specializzazione in Radiologia: «Perché bisogna formare i professionisti. Le macchine si possono comprare, le persone no». Il binario successivo viaggia sul versante assistenziale su cui si punta per ottenere livelli di eccellenza. «Anche attraverso il rinnovamento del parco tecnologico, con l’acquisizione di nuovi angiografi, tac ed ecografi». L’obiettivo è fermare il “turismo” sardo verso gli ospedali dello stivale. «Il nostro popolo pensa che fuori sia meglio. Invece adesso la nostra utenza dovrà essere orgogliosa di questa struttura». Oltretutto, spiega Masala, «non si tratta di campanile ma di sistema. Stiamo maturando infatti una sinergia con tutte le radiologie del territorio isolano».

Ma in cosa consiste l’interventistica di cui si occupa? «Si lavora sulle patologie di tipo traumatico, degenerativo e oncologico». Con mezzi sofisticati, aggiunge il medico sassarese, «che permettono interventi in percutanea, senza incisione, usando aghi della dimensione di un capello, con cui possiamo agire su ernie discali, fratture vertebrali o neoplasie attraverso le crioablazioni o le radiofrequenze». Approfittando dell’endoscopia e offrendo risposte mini-invasive che, il 95 per cento delle volte sono in anestesia locale, in regime di day hospital o ambulatoriale. «Questo rappresenta un grosso risparmio delle spese sociali perché il paziente lo restituisci direttamente alla sfera lavorativa o degli affetti».

Ma la “rivoluzione” parte dalla base perché si è studiato un percorso che comincia con la prenotazione dal cup, e continua con la diagnostica e l’interventistica: «Gestiamo noi tutta la filiera». Con un team di 15 radiologi, dieci tecnici, 7 tra ausiliari e oss, più tirocinanti da tutta Europa, e dove spesso il lavoro è multidisciplinare, in sintonia con le altre specialistiche. «Io credo che dobbiamo trattare il paziente come se fosse mamma e papà e, soprattutto, con un atteggiamento di grande umiltà».

Affrontando persone che spesso arrivano dopo aver consultato il “dottor google”. «Noi facciamo la vecchia anamnesi, che nessuno fa più. Ascolto, visita e, solo alla fine, si guardano le immagini degli esami. Ci sono medici che si limitano a mettere un dischetto nel computer e non va bene». Talvolta si riesce a curare, altre no. «La fallibilità fa parte di questo mestiere ma quando hai successo…» Masala fa una pausa, ricorda, gli occhi si velano. «Una volta mi telefona un paziente che avevo operato e mi dice: “Oggi sono riuscito a farmi la barba”. A distanza di 20 anni mi commuove ancora». Risultati che però richiedono un impegno continuo, quasi penitenziale. «Per fare il medico ci vuole sacrificio. E dare l’esempio, sempre. Io entro qui alle 6.30 ed esco di sera alle 20.30. E la notte rispondo sempre alle telefonate del pronto soccorso». Chi glielo fa fare? «Devo restituire quello che ho ricevuto. E poi mi aspetto che a Sassari, nel 2024, ci sia la radiologia più bella d’Europa».

Emanuele Floris

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