Come sarà la nostra (seconda) estate di reduci della pandemia? Potremo tornare a uscire, viaggiare, andare in spiaggia, a cena fuori, a ballare? «Sì, ma saremo con la mascherina: dobbiamo muoverci con prudenza, non è un liberi tutti», raccomanda il professor Giorgio La Nasa, direttore del dipartimento Scienze mediche e sanità pubblica ed Ematologia del Brotzu di Cagliari.

Dovrà pur servire la lezione dell'agosto scorso, quando la Sardegna è diventata un caso nazionale per i focolai partiti dai luoghi di vacanza in Gallura che hanno attizzato la seconda ondata. Vero è che oggi c'è una variabile importante.

«Con la campagna di vaccinazione che procede a passo spedito, la situazione è in netto miglioramento: abbiamo il modello inglese che ci fa capire come evolverà l'epidemia in rapporto all'aumento del numero dei vaccinati. Quel che continua a essere assolutamente cruciale, dunque, sono le vaccinazioni. E lo sforzo che si sta facendo per arrivare a più persone possibile, nel più breve tempo possibile, è la strategia fondamentale: prima vacciniamo tutti, prima ne usciamo».

Adesso si sta aprendo a tutti, anche ai giovani.

«È giusto: bisogna ricordare che spesso sono loro a veicolare il virus. Si è cominciato con le categorie più fragili, ma adesso diventa strategico coprire anche le generazioni più giovani. Se si procede di questo passo, io penso che a fine giugno avremo una copertura molto, molto importante».

Anche in Sardegna?

«Certo. Qui è fondamentale raggiungere tutti i piccoli centri. È necessario che, con forze dell'Ats o dell'Esercito, vengano predisposte unità mobili che vadano nei paesi e raggiungano la popolazione che ha più difficoltà a spostarsi e a registrarsi».

Se si ritarda la seconda dose è un problema?

«Dal punto di vista immunologico non cambia assolutamente niente. I linfociti "memoria", così vengono chiamati, una volta che vengono stimolati acquisiscono la memoria immunologica. Sono, insomma, cellule che non vengono più perdute e quindi questa memoria rimane indefinitamente. Se il virus non cambia abbiamo altri esempi di vaccinazioni che ci proteggono per tutta la vita».

E se il virus muta tanto da non essere più riconosciuto dal nostro sistema immunitario?

«Bisogna rifare il percorso. Ma fortunatamente le varianti insorte finora sono coperte dai vaccini attuali».

Quando torneremo a una vita davvero normale?

«Fare una previsione è impossibile ma, se guardiamo a noi, ai Paesi occidentali dove il vaccino viene distribuito in modo efficace, io penso che potrebbe avvenire nel giro di un anno. Il problema sarà per i Paesi poveri del mondo dove c'è scarsità di vaccini: il rischio è che se il virus continua a diffondersi, e perciò a mutare, si selezionino delle varianti verso le quali non siamo protetti. I Paesi ricchi devono fare uno sforzo enorme per vaccinare tutti nel mondo. Solo così possiamo proteggerci».

Ma da questa parte del mondo, e qui in Sardegna, non possiamo davvero pensare a un'estate senza mascherina?

«Sarà fondamentale continuare a indossarla. Soprattutto i giovani se vogliono riprendere le loro abitudini devono passare necessariamente per il mantenimento delle precauzioni, perché purtroppo è la popolazione meno vaccinata in assoluto e quindi il rischio è presente. Bisogna ricordare che esistono casi di malattia grave anche nella loro fascia d'età».

Ma lei ce li vede i ragazzi che si godono l'estate con la mascherina indosso?

«È necessario coinvolgerli, sensibilizzarli. Lo facciamo nelle Università ma va fatto nelle scuole a tutti i livelli per far capire ai ragazzi che questa è una protezione che tutela la loro salute. E soprattutto la loro libertà». Andremo in spiaggia, potremo viaggiare…

«Sì, inizieremo a muoverci ma dobbiamo ricordarci che non è un liberi tutti. La prossima settimana la Sardegna sarà in zona bianca e quindi sarà tutto aperto: ecco, dobbiamo fare in modo di conservare questa conquista rispettando le regole. Ho sentito di alcune attività che continueranno a mantenere comunque certe precauzioni, al di là di quanto viene stabilito dai protocolli. Se riusciremo a rispettare le regole potremo stare tranquilli».

Si dice che un giorno il Covid, la malattia causata dal virus Sars Cov-2, diventerà un raffreddore. Quando accadrà?

«Quando saremo tutti vaccinati».

Lei e il suo collega ematologo Giovanni Caocci avete sperimentato il Ruxolitinib, farmaco utilizzato per le patologie legate ai tumori del sangue, nella cura dei malati di Covid. È stato avviato uno studio, a che punto è?

«Il farmaco, che si prende in considerazione quando ci sono gravi complicanze, cioè nella malattia grave dove si ha quel forte danno da reazione immunologica, è stato utilizzato con un protocollo internazionale e per l'Italia mi pare partecipasse il San Raffaele. Dei risultati complessivi ancora non so, ma è senz'altro una risorsa da tenere in considerazione anche se...».

Anche se?

«Penso che continuando di questo passo noi non vedremo più casi di quel tipo lì: andremo verso forme sempre più attenuate della malattia. Sul fronte delle terapie, tra l'altro, abbiamo l'anticorpo monoclonale che va a colpire direttamente il virus ed evita anche tutta una serie di reazioni collaterali».

Le terapie domiciliari sono adeguate?

«Sì. Vorrei fare un plauso per chi era, ed è, impegnato sul fronte delle cure domiciliari. Nel pieno dell'emergenza, ci si è dovuti anche formare, studiando per acquisire ulteriori competenze. È stato un grande sforzo pure sotto il profilo culturale».

Il tracciamento, invece, è saltato più volte.

«Non ha funzionato. Ma la situazione era veramente complessa perché a un certo punto i ritmi di diffusione del virus erano così elevati che per garantire la tracciabilità sarebbe stato necessario un esercito di persone».

Piera Serusi

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