Il primo dicembre è stata la Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, istituita nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della Sanità. È stata l’occasione per sensibilizzare e attivare i cittadini rispetto a questa grave patologia.

In Italia, a novembre l’Istituto superiore della Sanità ha diffuso i dati aggiornati al 31 dicembre 2022 e contenuti sul notiziario Istisan (volume 36-n.11): nel 2022, sono state 1.888 le nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a un’incidenza - cioè i casi in rapporto alla popolazione - di 3,2 nuove diagnosi per 100 mila residenti.

Quest’ultimo dato è in continua diminuzione dal 2012: fa eccezione il periodo dei due anni post Covid-19 durante i quali si è registrato un leggero aumento (sempre prendendo come parametro di riferimento il dato relativo al 2012). L’Italia si colloca al di sotto della media stimata nei Paesi dell’Europa occidentale e in quelli dell’Ue. Le nuove diagnosi Hiv si riguardano soprattutto la fascia d’età che va tra 
i 30 e i 39 anni: un dato, questo, che racconta di un’età media che si è innalzata rispetto al 2019, quando le persone più colpite risultavano avere un’età tra i 25 e i 29 anni.

Le cause

Si è parlato fin qui di Hiv (Human immunodeficiency virus) e non ancora di Aids. Perché? Perché uno è la causa dell’altro. 
Il virus infatti attacca e distrugge - in modo particolare - i linfociti CD4, un tipo preciso di globuli bianchi responsabile della risposta immunitaria dell’organismo. Le difese contro virus, batteri, funghi e tumori dunque si abbassano notevolmente, con conseguenze anche mortali.

Quando l’infezione da Hiv sfocia in uno stadio clinico avanzato, si parla di Aids: si stima che, da quando la sindrome è stata diagnosticata nel 1984, nel mondo abbia provocato la morte di 35 milioni di persone. Un soggetto può manifestare l’Aids anche dopo 8-10 anni trascorsi dal contagio da virus Hiv, che - come riporta anche l’Istituto superiore della Sanità, avviene soprattutto tramite rapporti sessuali non protetti. È pur vero, però, che circa 1-4 settimane dopo essere stati infettati dal virus, l’80% delle persone manifesta uno o più di questi sintomi: febbre; eruzione cutanea; gola infiammata; ghiandole gonfie; mal di testa; dolori articolari e muscolari.

Considerati a sé potrebbero non destare sospetti, viceversa sono un campanello d’allarme per le persone che sono consapevoli di aver assunto comportamenti a rischio. In questa fase, la carica virale è particolarmente elevata per cui il rischio di contagio è concreto. 
In conclusione, se una persona con infezione da Hiv e dunque sieropositiva sviluppa alcune malattie opportunistiche (a causa di un danno al sistema immunitario), si parla di soggetto malato di Aids.

***

L’epidemia mondiale si può prevenire: essere consapevoli dello stato di salute è fondamentale

La prevenzione e la sensibilizzazione, anche quando si tratta di Hiv e Aids, è fondamentale. Non solo dal punto di vista clinico, ma anche sotto il profilo sociale e, quindi, psicologico per le persone che ne sono affette. La Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids nasce proprio con questo importante obiettivo: diffondere una campagna di prevenzione e sensibilizzazione - evidenziando in modo particolare i comportamenti a rischio (rapporti sessuali occasionali, o comunque non protetti, con persone infette da Hiv) - e al tempo stesso combattere i pregiudizi che ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni dalla prima diagnosi, aleggiano intorno a questa condizione sanitaria, colpendo e ghettizzando le persone sieropositive (dunque che hanno contratto il virus Hiv) e malate di Aids (che vivono un quadro clinico avanzato dell’infezione). Una volta di più, bisogna sottolineare che l’Hiv non si trasmette e non si diffonde attraverso l’uso comune del bagno, delle stoviglie o della biancheria, né con strette di mano, abbracci e baci sulla guancia.

Il test, la diagnosi, la convivenza

L’unico modo che una persona ha per scoprire se ha contratto il virus Hiv è sottoporsi al test, mediante un prelievo di sangue. Se si è consapevoli di essere un soggetto a rischio - perché si è entrati in contatto con una persona infetta attraverso un rapporto sessuale non protetto o lo scambio promiscuo di siringhe - è opportuno sottoporsi a controlli periodici. I quali, va specificato, non riguardano solamente le categorie a rischio ma chiunque: non sempre infatti si ha contezza di essere entrati in contatto con una persona sieropositiva (o magari nemmeno quest’ultima è a conoscenza del proprio stato di salute), per cui il test è l’unica soluzione. Partendo da questo presupposto di non consapevolezza, il test è obbligatorio per tutte le donne in gravidanza, in modo da scongiurare l’ipotesi di un contagio diretto e verticale con il nascituro. 
In generale, se l’esito è positivo è bene ricordare che l’assunzione della terapia antiretrovirale, anche se si inizia in fase avanzata di infezione, ne riesce a bloccare la progressione. Un aspetto che consente anche di diminuire notevolmente la carica virale, appannaggio delle persone (familiari, amici) che circondano la persona sieropositiva.

Per rispetto nei confronti del partner e per evitare il contagio, però, è doveroso utilizzare il preservativo durante i rapporti sessuali e, in generale, evitare comportamenti a rischio come anche solo un bacio intimo se sono presenti lacerazioni interne alla bocca o sulle labbra. 
Se debitamente trattata, l’infezione da Hiv è considerata un’infezione cronica che permette comunque di continuare a progettare la vita. Il primo passo da compiere è di rivolgersi a un medico specialistico per determinare lo stadio dell’infezione, attraverso una serie di esami diagnostici che dovranno essere ripetuti ogni 3 mesi. A questo punto, sarà più semplice individuare la terapia antiretrovirale più efficace: scoperta nel 1996, ha inciso in maniera considerevole sul numero di decessi per Aids, che hanno registrato un sensibile decremento. Si parla di terapia “antiretrovirale” in quanto l’Hiv è un retrovirus: vive, si riproduce e si moltiplica all’interno di cellule umane vive, colpendo soprattutto i linfociti CD4 e, di conseguenza, abbassando le difese immunitarie.

***

Insegnare la sessualità: Lila e l’importanza della prevenzione

Dal 1987 in Italia è presente la Lila, Lega italiana per la lotta contro l’Aids: un’associazione senza fini di lucro presente su tutto il territorio nazionale e composta sia da persone affette da Hiv sia da volontari e professionisti. Come per la Giornata mondiale celebrata il 1° dicembre, anche l’intento di questa realtà è di sensibilizzare rispetto alla prevenzione, offrendo sostegno e supporto alle persone affette da Hiv e malate di Aids. Proprio in occasione della ricorrenza mondiale, la sede cagliaritana della Lila ha diffuso i dati regionali: secondo l’Istituto superiore della Sanità, nel 2022 si sono registrati in Sardegna 31 nuovi casi di Hiv su un totale di 1.888 nuove diagnosi in Italia. Il dato “preoccupante”, come è stato definito dalla presidente di Lila Cagliari Brunella Mocci, è che circa il 60% delle persone contagiate ha scoperto di aver contratto il virus oltre i 50 anni, per lo più in seguito a un ricovero ospedaliero o ad altre patologie; questo non ha consentito di somministrare per tempo le cure antiretrovirali adeguate. 
Un quadro che si traduce in una “positività inconsapevole” per le persone che non hanno mai fatto un test e che hanno trasmesso, senza saperlo, il virus ad altre persone (su tutte, il partner). Un fattore indice “di un aumento esponenziale del sommerso dell’Hiv” che può essere arginato solo attraverso un’adeguata campagna di prevenzione e sensibilizzazione. Iniziando - e Lila si sta già muovendo in tal senso - dall’educazione alla sessualità all’interno delle istituzioni scolastiche. Anche per quest’anno, Lila Cagliari ha organizzato la “Lila Walking”, una marcia solidale per le vie del centro storico.

© Riproduzione riservata