Capita a tutti di attraversare un periodo in cui ci si sente particolarmente stanchi, debilitati, privi di forza e di energia. A volte però questa sensazione di spossatezza continua e permanente non sembra dare segnali di andarsene, anzi, si accompagna ad altri disturbi variabili per entità e intensità. In questi casi è difficile effettuare una diagnosi corretta, in quanto non è possibile valutare dei parametri misurabili e oggettivi, ma quello che rimane è una condizione di profondo malessere, non risolvibile in tempi rapidi. Proprio per identificare questa situazione è stata recentemente definita la “sindrome da fatica cronica”, conosciuta anche con il nome di encefalomielite mialgica.

La fatica è quindi il sintomo dominante: una  sensazione soggettiva di difficile definizione in quanto fortemente dipendente dal contesto fisiopatologico in cui si manifesta.

Chi colpisce

Questa problematica si presenta con più frequenza tra i 40 e i 50 anni, ma non  mancano episodi anche tra i più giovani, compresi bambini e adolescenti. Sono soprattutto le donne le persone che tendono a soffrirne più spesso: si parla infatti di una malattia di genere, con un’incidenza nel rapporto tra maschi e femmine pari a uno su quattro.

Sono ancora poco chiare le cause di questa dominanza “rosa”: si sta analizzando un possibile malfunzionamento del sistema neuroendocrino, ma non si è ancora giunti a comprendere come mai il genere femminile risulti colpito con maggiore frequenza.

I primi studi

Di questa sindrome si parla soltanto da circa trent’anni. Le prime attestazioni risalgono al 1994 e vengono da oltreoceano: negli Stati Uniti infatti un gruppo di studiosi internazionali appartenenti a diverse specialità (medicina interna, infettivologia, neurologia, immunologia e oncologia) pubblicò sugli Annals of Internal Medicine quella che ne viene considerata la prima definizione: una fatica cronica persistente che dura almeno sei mesi, aumenta con piccoli sforzi, provoca una riduzione persistente delle attività occupazionali, sociali o personali e non si riduce riposando.

Le cause

I ricercatori non hanno ancora individuato quale sia la causa scatenante della sindrome da fatica cronica. Secondo alcuni la predisposizione genetica potrebbe avere un ruolo nel favorirne la comparsa, mentre secondo altri è implicata l’esposizione a microbi e tossine.

Molto accreditata anche la possibile origine virale del malessere: spesso capita che, nel momento in cui si cerca di diagnosticare questa sindrome, si riscontri nel soggetto il virus di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi.

Un altro filone di ricerche riguarda invece una possibile alterazione strutturale nel cervello.

Un’indagine della University School of Medicine di Stanford ha infatti sottoposto i soggetti coinvolti nello studio a tre diverse risonanze magnetiche.

I risultati si sono rivelati interessanti: in coloro che soffrivano di spossatezza patologica è stato evidenziato un minor volume della sostanza bianca nel cervello rispetto a quello dei soggetti sani e un’attività anomala nel fascicolo arcuato, un’area particolare nell’emisfero destro. Quello che succede in questo punto critico è significativo: quanto più è anormale l’attività in questo tratto cerebrale tanto più la sensazione di stanchezza risulta intensa.

I numeri

Secondo l’Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), in Italia si sono registrati 644 ricoveri in dieci anni (2001-2010) per questa affezione.

Tra i pazienti, molti di loro erano abitanti dell’Italia meridionale, con un’incidenza particolare in Basilicata (con il 19,25%), in Calabria (con il 18,17%) e nel Lazio (con il 15,53%). Nella gran parte dei casi i soggetti ricoverati avevano un’età compresa tra i 45 e i 64 anni, con un rapporto tra maschi e femmine pari a due a uno. La Basilicata è stata la regione che, in Italia, ha fatto questa diagnosi con maggiore frequenza.

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