Quello della scarsità o dell’assenza dei sintomi in grado di far scattare l’allarme relativo all’ipertensione arteriosa è un fenomeno pericoloso, perché induce a sottovalutare il fenomeno, non prendendo le giuste contromisure per tempo.

Per questo motivo, gli specialisti suggeriscono di sottoporsi periodicamente ai controlli per la pressione. Agire tempestivamente è infatti fondamentale per gestire il disturbo, evitando conseguenze ancora più gravi: tenere in casa uno sfigmomanometro è ormai alla portata di tutti e consente di misurare la pressione anche in completa autonomia.

Il trattamento

Come intervenire, però, se l’ipertensione arteriosa è già presente? Gli specialisti provano innanzitutto ad agire sullo stile di vita del paziente (quando la situazione e la gravità della circostanza lo consente) e poi, in seconda battuta, individuano la terapia farmacologica più adatta.

I farmaci maggiormente utilizzati sono i diuretici - che aiutano l’organismo a smaltire acqua e sali minerali -, gli alfa e beta bloccanti, che  agiscono a livello dei meccanismi nervosi di controllo periferico della pressione arteriosa, e i calcio-antagonisti, che controllano la pressione inducendo la vasodilatazione. E ancora: gli ACE-inibitori/sartani/inibitori diretti della renina contribuiscono ad abbassare la pressione interferendo con la produzione di alcune sostanze circolanti che compongono il cosiddetto sistema renina-angiotensina-aldosterone. Ogni classe di farmaci agisce in un punto differente di questo sistema.

Secondo alcuni recenti studi, diminuire la pressione arteriosa di appena 5 mmHg consente di abbattere il rischio di ictus del 34%, quello di infarto del 21% e permette di ridurre sensibilmente la possibilità di sviluppare demenza vascolare, scompensi cardiaci, fibrillazione atriale o di morire per cause cardiovascolari.

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