«Sono passati più di 40 anni dalle prime segnalazioni, agli inizi degli anni Ottanta, di quella sindrome nota in seguito con il nome di AIDS che tanto ha toccato l’immaginario collettivo di più generazioni e che sarebbe divenuta ben presto una pandemia». A ricordarlo è stato il dottor Francesco Ortu, immunologo allergologo del Policlinico Duilio Casula, a “15 minuti con…”, la trasmissione di approfondimento sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda, condotta dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e Relazioni esterne dell’Aou.

«Da quella malattia sconosciuta a esito fatale, con un’aspettativa di vita di meno di due anni, si è arrivati a una malattia cronica con una sopravvivenza pressoché analoga a quella della popolazione generale. Questo cambio di storia naturale rappresenta uno dei principali progressi della scienza», sottolinea Ortu: «Partendo dalla scienza di base, che ha permesso di chiarire la patogenesi e l’evoluzione della malattia, nonché di migliorare le strategie diagnostiche e di monitoraggio della stessa, si è arrivati a corrette strategie di prevenzione fino all’attuale terapia antivirale che ci permette di controllare l’infezione da HIV consentendo, seppure senza eradicare il virus, una lunga sopravvivenza, e portando al concetto odierno di “PLWHIV” (paziente che vive con HIV)».

«Raggiungere questi obbiettivi non è stato facile», prosegue il medico, «soprattutto agli inizi dell’epidemia. Si è dovuto combattere contro negazionismo, disinformazione e stigma, con una storia che ricorda, per certi aspetti, la recente epidemia da Covid-19. Si è partiti da farmaci antiretrovirali usati in monoterapia, scarsamente efficaci, ai primi regimi complessi di associazione con gli inibitori di proteasi, relativamente tossici, poco tollerati e con elevato numero di compresse, per arrivare agli attuali regimi altamente efficaci, ben tollerati e spesso formulati in un'unica compressa, che riconoscono differenti bersagli del virus».

«Il futuro imminente», aggiunge l’allergologo, «è rappresentato da farmaci di lunga durata che potranno essere somministrati ogni due mesi mediante iniezioni intramuscolo. Già disponibili in alcune regioni Italiane, lo saranno presto anche in Sardegna. Allo studio, farmaci a somministrazione anche annuale. Lo scopo della terapia antivirale non è solo quello di impedire la progressione verso una severa immunodeficienza (AIDS), ma anche di attuare una strategia di mantenimento di salute a lungo termine cercando di ridurre la comparsa di eventi HIV non-AIDS correlati. Disporre di molecole sicure ha permesso, ad esempio, di implementare l’uso della PrEP (profilassi pre-esposizione) come strategia di prevenzione in persone altamente esposte, riducendo di molto la possibilità di infettarsi. Altra acquisizione recente è stata utilizzare la terapia come prevenzione (TASP) secondo l’assioma “U=U”, secondo cui una persona che assume correttamente la terapia controlla la replicazione del virus, che diventa non rilevabile nel sangue e quindi non trasmissibile».

«In questo modo», conclude Ortu, «si garantisce al paziente la possibilità di maternità, di una vita sociale e sessuale analoga a quella delle persone senza infezione da HIV, potendo contribuire ad abbattere lo stigma, percepito come uno dei principali problemi legati ad HIV. Nonostante questi progressi, esistono delle criticità. Ricordando che oggi la principale modalità di trasmissione è rappresentata dal rapporto sessuale, la diagnosi di infezione da HIV viene fatta tardivamente. In quasi la metà dei casi è contestuale alla diagnosi di Malattia conclamata e sono forse la paura dello stigma e/o la scarsa percezione del rischio a favorire la diffusione dell’infezione. Altra criticità è rappresentata dall’aumento dell’età media dei pazienti in cui la coesistenza di altre patologie, legate all’invecchiamento, complica le scelte terapeutiche».

Luca Mirarchi

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