Vero e proprio “motore” del nostro corpo, il cuore è il muscolo più importante dell’organismo. Il suo buon funzionamento ci permette infatti di condurre una vita “normale”, affrontando in maniera corretta anche la fatica e gli sforzi connessi alla quotidianità o alla pratica sportiva. Eppure, nonostante la sua evidente centralità per la salute, il cuore viene spesso trascurato. O meglio: nella vita di tutti i giorni si mettono in atto una serie di cattive abitudini - alimentari, ma anche legate a una scarsa attività fisica - che mettono il cuore a repentaglio. Qualche numero riesce a descrivere meglio la situazione: stando ad alcuni degli studi più recenti, le malattie cardiovascolari sono responsabili di quasi il 44% di tutti i decessi registrati in Italia. In particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia, con il 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%.

La pandemia ha peggiorato ulteriormente questa situazione: non solo perché la presenza di patologie cardiache ha aumentato la mortalità legata al Covid, ma anche perché, nei mesi in cui il sistema sanitario è stato travolto dall’emergenza, sono diminuiti drasticamente i controlli e gli esami. Inoltre, il lockdown ha inciso anche su un peggioramento dell’alimentazione e, in parallelo, nel ridurre l’attività fisica, allontanando tantissime persone da uno stile corretto di vita, alla base della prevenzione. Si tratta di un problema che va affrontato non solo a livello nazionale, ma globale: basti pensare che le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo, con una stima di circa 17 milioni di decessi l’anno.

Le cause

Se le malattie cardiovascolari sono responsabili del 44% delle morti in Italia, la causa più comune - che da sola sfiora quasi il 28% dei decessi - è la cardiopatia ischemica, conosciuta anche come infarto miocardico. Un evento che si verifica quando al cuore arriva un apporto insufficiente di sangue e ossigeno: come il resto dell’organismo, infatti, anche il muscolo cardiaco necessita di questi due elementi fondamentali per funzionare. L’apporto insufficiente si deve all’ostruzione, parziale o totale, di una o più arterie coronarie, a sua volta determinata da una malattia coronarica, oppure, anche se in casi meno frequenti, da una malformazione coronarica, da una dissezione coronarica (ovvero lo “scollamento” tra i foglietti della parete coronarica), da un’embolia coronarica, ovvero un’occlusione causata da un embolo. Infine, l’infarto miocardico può essere generato anche da uno spasmo coronarico, ovvero la contrazione improvvisa e temporanea dei muscoli della parete dell’arteria: una eventualità che si riscontra, per esempio, nell’assunzione di alcune droghe. Più in generale, comunque, lo sviluppo delle placche alla base dell’infarto miocardico si deve a una serie di fattori che vanno dal fumo al colesterolo alto, per continuare con l’ipertensione e il diabete.

C’è anche quello silente

Se l’infarto si manifesta con una serie di sintomi ben riconoscibili che permettono, in molti casi, di intervenire per tempo salvando così la vita al paziente, è altrettanto vero che si calcola che circa il 20% degli infarti si presenti nella forma definita “silente”, cioè senza che si abbiano sintomi evidenti. Non a caso questi eventi vengono generalmente scoperti in maniera casuale, in occasione di altri controlli che prevedono un elettrocardiogramma: ecco allora che si notano i danni al muscolo cardiaco. L’infarto silente, oltre che meno comune, risulta anche più probabile in soggetti che possono contare su una soglia del dolore molto elevata, negli anziani over 75, in presenza di bypass o di condizioni mediche particolari - prime fra tutte il diabete e le malattie renali croniche -  che rallentano o impediscono ai nervi di trasmettere correttamente l’impulso doloroso. Inoltre, l’infarto silente risulta più comune nel sesso maschile rispetto che in quello femminile. In ogni caso, dopo un infarto è importante intervenire: le soluzioni più comuni sono l’utilizzo di farmaci trombolitici, l’intervento di angioplastica, l’applicazione di uno stent o, nei casi più gravi, quando le altre metodologie non fossero sufficienti, con un intervento di bypass coronarico.

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Come riconoscerlo, i sintomi più comuni

Se si sospetta un infarto è essenziale allertare immediatamente i soccorsi. La tempestività nell’intervento è fondamentale per salvare la vita al paziente

L'infarto del miocardio, la patologia cardiovascolare responsabile del maggior numero di decessi, si manifesta solitamente con una serie di sintomi che è bene saper riconoscere per poter intervenire per tempo e salvare, nei casi più severi, la vita al paziente. Il primo segnale è senza dubbio il dolore al petto che compare in maniera improvvisa. Si tratta di un dolore costante o che si ripresenta a brevissimi intervalli al centro del torace, dietro lo sterno o sopra lo stomaco, oppure leggermente defilato a sinistra, che fa provare mancanza d'aria o fiato corto. Da chi l'ha sperimentato viene descritto come un senso di pressione e pesantezza, ma l'entità cambia da persona a persona e per alcuni può essere anche molto sfumato. In particolare, se il dolore al torace si manifesta in entrambi i sessi, nelle donne possono essere più comuni ed evidenti una serie di altri sintomi connessi con l'infarto: tra questi, compaiono il sudore freddo, le vertigini, la nausea, il vomito, il dolore alla schiena e al collo.

Le forme

Da sottolineare anche il fatto che l'infarto del miocardio non si manifesta sempre in una forma acuta, cioè in grado di mandare in forte sofferenza chi ne soffre in tempi brevi. Esistono anche infarti "a lenta evoluzione", in cui i sintomi si presentano pur non determinando compromissioni particolari dello stato di salute: in questi casi possono addirittura passare alcuni giorni prima che chi ne soffre si accorga che il malore non ha niente a che fare con un semplice malessere. Questo, naturalmente, dipende anche dalle zone interessate dall'infarto: se lo stop all'afflusso di sangue e ossigeno interessa un'area estesa del miocardio o una zona chiave per la trasmissione elettrica del cuore, si avrà una maggiore sofferenza e le condizioni del paziente risultano immediatamente gravi. Al contrario, se l'evento colpisce aree del cuore dalla funzionalità decisiva, l'evoluzione dell'infarto è più lenta, i sintomi più blandi e, in alcuni casi, il paziente potrebbe anche riprendersi dopo qualche giorno. In ogni caso, risulta fondamentale intervenire per tempo: nel primo caso perché la condizione di salute dell'infartuato potrebbe precipitare nel giro di breve tempo; nel secondo per permettere al paziente di scoprire di essere stato vittima di un infarto, di metterlo "al sicuro" da un'evoluzione nefasta e di impedirgli di continuare a mettere in atto eventuali cattive abitudini che possono aver dato origine alla patologia.

Nel caso di infarti silenti, invece, i sintomi più comuni sono più sfumati - il dolore al petto è più simile a quello di una contrattura - e si manifestano bruciore di stomaco, fastidio a mandibola, spalla, braccio e un senso di malessere generale.

La prevenzione

Sul fronte della prevenzione, è bene ricordare che l'infarto colpisce con più frequenza chi presenta questi fattori di rischio: ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, diabete di tipo 2, obesità o sovrappeso, sedentarietà, sindrome metabolica, abitudine al fumo e abuso di droghe.

Su molti di questi fattori è possibile agire fin da giovani per far diminuire le possibilità di essere interessati da questo evento. Incidono - e qui invece non si può intervenire - anche età, familiarità e la presenza di malattie autoimmuni.

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Allarme colesterolo, un aspetto sottovalutato da più del 40% degli italiani

Il colesterolo alto è una delle cause principali che possono dare origine a un infarto. Eppure, ancora tantissimi italiani tendono a sottovalutare questa condizione. A scattare una fotografia della situazione ci hanno pensato gli esperti riuniti a settembre nell'incontro dal titolo "La prevenzione che sta a cuore. Malattie cardiovascolari e colesterolo nei pazienti ad alto rischio". I dati di partenza sono già allarmanti: in Italia, infatti, più di una persona su tre muore di malattie cardiovascolari, ma più del 40% degli italiani ancora sottovaluta il ruolo del colesterolo alto.

I dati dell'indagine

Entrando più nello specifico dell'indagine realizzata da SWG per Sanofi e presentata nel corso del meeting, non solo oltre il 40% degli intervistati sottovaluta i rischi legati ai livelli di colesterolo, ma addirittura una persona su tre ritiene che il rischio di mortalità legata a questo disturbo debba essere una preoccupazione solo in chi ha problemi cardiaci pregressi. E ancora: solo il 43% degli intervistati sa che è il colesterolo LDL ad essere quello considerato "cattivo" per la salute, mentre il 20% non conosce i rischi derivanti, più in generale, da alti livelli di colesterolo. E sebbene in oltre nove su dieci sappiano che i problemi cardiocircolatori possono essere evitati con un adeguato piano di prevenzione, solo per il 17% è opportuno eseguire periodicamente visite di controllo. E a proposito di controlli: il 42% pensa che il controllo del livello del colesterolo abbia a che fare solo con la dieta e l’attività fisica. "Eventi come infarti o ictus potrebbero essere ridotti se venissero implementate strategie di prevenzione secondaria. Proprio nella direzione di un trattamento precoce va l'abbassamento delle soglie di colesterolo LDL per l'accesso ai nuovi farmaci anti-colesterolo PCSK9, recentemente pubblicate in Gazzetta Ufficiale da Aifa" ha spiegato Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia.

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