«Abbiamo fatto un grande passo indietro per quanto riguarda la diagnosi precoce dei tumori, in particolare della mammella, dell’utero e del colon retto. Con l’inizio della pandemia, due anni fa, tutti gli screening oncologici sono stati di fatto annullati. Tutte le risorse mediche sono state indirizzate alla cura del Covid. Non era più possibile fare esami di prevenzione». I danni collaterali provocati dal virus nelle parole di Paolo Veronesi, 60 anni, oncologo come il padre Umberto che ha impresso una svolta alla lotta contro i tumori: da affrontare con le armi della pratica clinica e con la l’umanità di chi cura che, con questo metodo infallibile, alimenta la fiducia del paziente nei suoi confronti. Per Veronesi ci sono l’insegnamento universitario e soprattutto l’attività e il ruolo all’Istituto europeo di oncologia (Ieo), dove dirige il programma di senologia. Ha appena delineato i nuovi orizzonti della battaglia contro la malattia nel libro “La vittoria sul cancro. Dalla parte delle donne: tutte le cure per battere il tumore al seno”, pubblicato da Sonzogno. Giovedì prossimo sarà ospite di “Monitor” in diretta alle 21 su Videolina. Al centro della puntata, curata e condotta da Simona De Francisci, il tema delle disuguaglianze innescate dal Covid che ha provocato tante “vittime collaterali”.

Cosa è successo dopo la fase terribile di totale annullamento degli screening?

«Nel 2020 gli screening sono andati avanti a singhiozzo. Le persone avevano paura. Non c’era ancora il vaccino e gli ospedali venivano visti come luoghi di possibile contagio. Le donne hanno saltato un anno di esami di prevenzione. Nel 2020 nessuno ha fatto ecografie. Nel 2021 con le vaccinazioni gli ospedali sono diventati spazi più sicuri. Ora stiamo cercando di recuperare».

Quali sono le conseguenze?

«Oggi vediamo tumori mediamente in stato più avanzato rispetto a quelli che eravamo abituati a vedere nel 2019. Prima del virus la diagnosi precoce era migliorata. Eravamo arrivati al 60 per cento di adesioni con gli screening mammografici. Ora siamo sotto il 50 per cento. Abbiamo perso migliaia di casi diagnosticati precocemente. Questi dati non ci dicono che non ci sono tumori, ma che molti casi verranno diagnosticati in fase più avanzata, con minori possibilità di guarigione e con la necessità di terapie chirurgiche e mediche più invasive».

Il Covid quali altri “danni collaterali” ha determinato?

«Nel 2021 abbiamo avuto problemi legati alle sale operatorie e alla gestione dei casi chirurgici. Lo scorso anno sono saltati in Italia, a causa del virus, 400mila interventi chirurgici anche se nell’ambito oncologico abbiamo cercato di salvaguardare gli interventi in cui era necessario intervenire rapidamente per scongiurare l’aggravamento del quadro clinico. A questo si deve aggiungere il fatto che le terapie intensive siano ancora, per la gran parte, occupate da pazienti Covid, in netta maggioranza no vax, per capire quanto la situazione sia ancora molto lontana dalla normalità».

Possiamo recuperare il tempo perduto?

«Ora stiamo cercando di recuperare. Sono arrivate risorse, altre saranno disponibili nei prossimi mesi. È chiaro che ci vorrà tempo. L’importante è che le persone con fiducia tornino a fare prevenzione. Il tumore alla mammella, il più frequente in assoluto in Italia con 55mila nuovi casi all’anno, grazie alla diagnosi precoce, diventa un nemico che può essere battuto. In questo modo aumentano notevolmente le possibilità di successo».

Cosa vuol dire credere nella prevenzione?

«È importante che le persone abbiano fiducia e spontaneamente facciano lo screening senza aspettare l’invito dei servizi sanitari. Osservo il campo specifico della mia attività, ma l’appello riguarda tutte le patologie oncologiche: È necessario che tutte le donne, anche le più giovani, non trascurino la prevenzione. La prevenzione può fare la differenza. Ora abbiamo l’opportunità di affrontare i tumori in modo efficace. Per i casi diagnosticati con mammografia ed ecografia in fase pre-clinica ci sono ottime possibilità di guarigione. È molto importante effettuare il test del sangue occulto nelle feci. Tutti, dopo i 50 anni, dovrebbero ricevere l’invito a fare in farmacia questo semplicissimo esame».

C’è il rischio che due anni di emergenza sanitaria possano modificare i passi avanti che l’oncologia ha fatto negli ultimi decenni?

«Facciamo passi indietro nella prevenzione ma, fortunatamente, la ricerca oncologica e quella biomedica sulle nuove terapie non si sono fermate. Nello scorso autunno al congresso della società europea di oncologia medica sono stati presentati studi e ricerche che inducono a essere ottimisti. Mostrano l’efficacia di farmaci innovativi nelle pazienti con tumori al seno in fase avanzata. La ricerca in questi due anni ha prodotto risultati interessanti non solo per la cura dei tumori alla mammella. Siamo in un periodo di grande rivoluzione sul fronte della ricerca. Intravediamo la possibilità di curare tumori in fase avanzata, situazioni che prima non concedevano grandi speranze. Penso che nei prossimi anni sia possibile vedere esiti ancora più interessanti».

Umberto Veronesi, suo padre.

«Un grandissimo maestro, abbiamo lavorato insieme per trent’anni, fianco a fianco, fino a quando ha smesso di lavorare, pochi mesi prima di lasciarci. Fino ai 90 anni non si è mai fermato un giorno. L’insegnamento che mi ha lasciato? A parte la tecnica, la chirurgia e la diagnosi del tumore al seno, mi ha insegnato ad avere un bel rapporto con le pazienti. Loro lo adoravano. Ha creato con loro rapporti di vera amicizia, di stima, di rispetto e grandissima fiducia. Cerco di mettere in pratica le sue idee e i suoi valori. La fiducia dei pazienti nei confronti del medico è il presupposto per arrivare alla cura. Se una paziente si fida del medico si fa curare meglio, segue le istruzioni, non va a cercare terapie alternative che possono essere, lo abbiamo visto nel recente passato, molto pericolose».

Fiducia è una parola ricorrente in questa intervista.

«Bisogna avere fiducia nella medicina e nella scienza. Occorre rivolgersi subito al medico, al primo sintomo, ed è necessario fare riferimento a centri di eccellenza per la diagnosi e la cura delle patologie tumorali: in tutte le regioni sono attive le cosiddette “breast unit”, certificate dal nostro sistema sanitario e riconosciute dal ministero della Salute».

Massimiliano Rais

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