«È importante dormire una “buona notte”, non importa quanto salgono le temperature e l’afa», spiega la professoressa Monica Puligheddu, neurologa del Policlinico “Duilio Casula”: «La privazione di sonno compromette le prestazioni cognitive, la memoria a breve e a lungo termine, la capacità di concentrazione, l’umore. La temperatura ideale per dormire è di circa 18,3°C, con pochi gradi di oscillazione. Inoltre, la temperatura corporea scende naturalmente un po’ durante le ore notturne, quindi un ambiente di sonno fresco, ma non freddo, è l’ideale per dormire bene».

«D’estate, per preservare la qualità del riposo», prosegue la neurologa, «si possono prendere alcuni semplici accorgimenti: mantenere l’aria calda fuori dalla camera da letto durante il giorno chiudendo finestre, persiane e tende quando la temperatura aumenta; regolare la climatizzazione tra 19 e 20,5°C, ricordando che neonati e bambini piccoli necessitano di una temperatura ambientale leggermente più calda; la sera, quando l’aria esterna è più fresca, aprire persiane e finestre per far entrare aria fresca nella stanza prima di andare a letto, consentendone il flusso. Per quel che riguarda l’utilizzo dell’aria condizionata, bisogna considerare l’impatto sulle vie aeree superiori (mal di gola, raffreddori, eccetera). Il ventilatore è un’alternativa più salutare, se non disturba il sonno, posizionato lontano dal viso. I tessuti naturali in lino e cotone sono certamente più efficaci».

«I suggerimenti validi in generale», sottolinea Puligheddu, sono: «Mantenere orari regolari di addormentamento e risveglio; evitare di recuperare durante la mattina o nelle ore più calde (oltre agli scarsi risultati non è un buon sonno); mantenere un’idratazione durante tutta la giornata e non bere nelle ore prima di coricarsi, per evitare risvegli causati da esigenze fisiologiche. Eliminare la caffeina a fine giornata e non esporsi a schermi che emettono luce blu prima di prendere sonno. Sarebbe molto importante non “focalizzarsi” sull’esito della notte, meglio alzarsi e fare qualcosa di rilassante e poi riprovare ad addormentarsi, anziché restare svegli a letto».

«Passando ad alcune patologie del sonno che col caldo peggiorano o comunque impattano sul riposo notturno», la professoressa menziona «prima fra tutte la sindrome delle gambe senza riposo, condizione di severo disagio alle gambe con necessità di muoverle, massaggiarle, alzarsi e camminare. Chi si riconosce in questo disturbo dovrebbe rivolgersi al medico di famiglia per un trattamento specifico. Chi già lo conosce sa che ha spesso un decorso stagionale soggetto a peggioramento durante l’estate. Noi consigliamo - per chi è seguito - di fare un ciclo preventivo di integratori di ferro per bocca alla comparsa dei primi caldi. In casi selezionati è possibile una terapia specifica. Se consideriamo invece chi è affetto da disturbo delle apnee del sonno e utilizza la Cpap (ventilatore medico che eroga un flusso d'aria continuo a pressione positiva costante), si trova chiaramente in maggiore difficoltà, sia perché la maschera può essere difficile da tollerare con il caldo (sono utili le maschere di dimensioni più contenute, soprattutto nei supporti), sia perché i livelli di umidità favoriscono la condensa, per cui raccomandiamo sempre di ridurre questi livelli nella stanza con adeguati deumidificatori (accorgimento valido per tutti). È altamente sconsigliato sospendere il trattamento con Cpap a causa del caldo, per i rischi che comporta questo tipo di patologia».

«Un disturbo del sonno non particolarmente severo, ma che determina spesso disagio», conclude la dottoressa, «è costituto dal grande gruppo delle parasonnie (movimenti complessi nel sonno, sonnambulismo, eccetera), che d’estate possono essere più frequenti per via dell’instabilità del sonno, delle ripetute oscillazioni da sonno profondo a leggero, e per abitudini quali il ritmo disordinato, con orari molto irregolari, o l’assunzione non regolata di cibi e bevande».

Luca Mirarchi

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Sassari, allarme epatite

Un totale di circa 8mila pazienti, dei quali il 70 per cento positivo all'Hcv (epatite C) mentre il restante 30 per cento è affetto da epatiti di altra natura come quelle virali di tipo B e A, epatotropi minori, e ancora epatiti metaboliche, tossiche da alcool e farmaci. È la fotografia della realtà seguita dagli ambulatori dell'Aou di Sassari dedicati alle malattie del fegato.

Il virus dell'epatite B e il virus dell'epatite C rappresentano di gran lunga le cause più frequenti di epatiti. Si stima che nel mondo ci siano circa 71 milioni di persone affette da epatite cronica Hcv correlata e 250 milioni portatori del virus dell'epatite B. In Italia il 56,6 per cento delle epatiti sono causate dell'Hcv, circa 1.500.000, il 9,9 per cento dall'Hbv, circa 700/800mila, mentre l'associazione alcool e Hcv è responsabile del 12,1 per cento dei casi.

«Potenzialmente – spiega il dottor Giuliano Alagna che assieme al dottor Sassu gestisce l'ambulatorio di Epatologia che fa capo alla Medicina interna – tutti i tipi di epatite possono mettere a repentaglio la vita del paziente nell'immediato o dopo anni con una evoluzione della malattia verso la cirrosi e il tumore primitivo del fegato».

L'età di incidenza delle epatiti varia in base alla natura. L'epatite cronica HCV correlata è associata alla tossicodipendenza che interessa maggiormente la fascia di età tra i 30 e i 50 anni. L'epatite B cronica interessa coloro che non sono stati vaccinati e in Italia, dopo l'adozione del piano nazionale vaccini che prevede l'obbligatorietà, questi sono i nati prima del 1979 e gli immigrati. Le epatiti da alcol interessano la fascia di popolazione dai 30 anni in su, mentre le epatiti autoimmuni sono più frequenti nelle giovani donne.

«Grazie ai nuovi farmaci antivirali - aggiunge il dottor Alagna - l'epatite C oggi può essere curata con estrema facilità, tanto che l'Oms ha posto come obiettivo l'eradicazione entro il 2030.

«Se per l'epatite B i farmaci disponibili evitano la progressione della malattia e nelle forme autoimmuni gli immunosoppressori spengono nella maggior parte dei casi l'infiammazione, un discorso a parte va fatto per le epatiti metaboliche. Per queste, oltre alla correzione dei fattori di rischio come alcol, ipercolesterolemia, sovrappeso/obesità, diabete, sedentarietà, abbiamo a disposizione pochi trattamenti. Ultimamente, però, hanno dato degli ottimi risultati una classe specifica di farmaci per il diabete».

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