«In Sardegna ci sono centomila adulti e poco meno di ventimila bambini obesi». Fernanda Velluzzi, presidente regionale della Società italiana dell'obesità e direttrice del Centro specialistico dell'Azienda ospedaliero universitaria di Cagliari, ha illustrato i numeri e le strategie per affrontare l'emergenza durante il convegno Pianeta obesità che si è svolto a Cagliari. È un allarme che riguarda tutto il mondo. L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha fissato alcuni paletti: 1) un obeso perde mediamente dieci anni di vita, quanto un fumatore; 2) ogni 15 chili in eccesso aumenta del trenta per cento la possibilità di morire prematuramente; 3) i bambini con un genitore sovrappeso hanno una probabilità di diventare obesi che è tripla rispetto al normale; 4) la vita sedentaria è un nemico da contrastare con determinazione.

Fernanda Velluzzi è uno dei massimi esperti sardi del ramo: «I dati nazionali dicono che il 35 e rotti per cento degli italiani sono sovrappeso, il 10 è obeso. Nei bambini la percentuale schizza al 24,2 per cento: siamo secondi in Europa».

La Sardegna? «È la regione che sta meglio tra quelle del Sud».

Da cosa nasce il disordine alimentare? «Le abitudini sono importanti. Il problema sono gli snack, le bevande zuccherate, la mancanza di cibi sani. E poi i bambini si muovono poco, pochissimo».

Niente sport? «Magari lo praticano però non fanno altro movimento. Non si spostano a piedi, non giocano per strada: sono impacchettati dai genitori durante ogni spostamento».

Le colpe di mamma e papà? «Il 50 per cento delle madri dei bambini sovrappeso risponde che il proprio figlio non ha problemi con la bilancia. È un dato preoccupante perché mostra con chiarezza che non c'è la percezione del problema. Così i bambini sono esposti a un rischio continuo. In questi casi sarebbe necessario educare i familiari prima dei piccoli».

Il cibo peggiore? «Non me la sento di indicarne uno in particolare. Nemici di una dieta equilibrata sono gli alimenti troppo eleborati, il cosiddetto cibo spazzatura».

I panini dei fast food? «È anche una questione sociale ed economica: lì il cibo costa pochi euro ed è alla portata di tutti, anche dei ragazzini».

I pasti migliori? «Parlerei di combinazioni corrette. Per vivere bene abbiamo bisogno di carboidrati (pasta, pane riso, patate, farro, orzo), proteine (carne, pesce, le uova, i latticini), grassi (quello d'eccellenza è l'olio vergine di oliva), la verdura, la frutta e l'acqua».

L'acqua? «È fondamentale non sostituirla con altre bevande imbottite di edulcoranti e coloranti».

Coca cola vietata? «Un bicchiere a un festa è lecito, ma non può essere un appuntamento quotidiano».

Gli effetti sulla salute? «Si manifestano in modo subdolo, magari asintomatici per anni per poi esplodere all'improvviso».

Le malattie? «Patologie cardiovascolari, diabete mellito, alcuni tumori maligni, cirrosi epatica, artrosi, disturbi dell'apparato riproduttivo maschile e femminile, disturbi psicologici».

Chi corre i rischi maggiori? «Le persone che hanno una quantità consistente di grasso viscerale, soprattutto nell'addome. È quello il campanello d'allarme che deve spingere i diretti interessati ad intervenire immediatamente».

La sanità pubblica fa abbastanza? «Ci prova e lo fa con tutto l'impegno che il problema merita. Nel nostro Centro - al San Giovanni di Dio - visitiamo un migliaio di pazienti l'anno». Si può fare di più? «L'ideale sarebbe arrivare al modello messo a punto per curare il diabete, con centri sparsi nel territorio. La prevenzione aiuterebbe a ridurre il numero di casi».

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