L’inizio di una gravidanza è un momento di felicità e di grande emozione per una donna. In alcuni casi, però, i nove mesi possono diventare una piccola odissea, una fonte di stress generato da quelle piccole e grandi problematiche che si innescano durante il lungo cammino della gestazione.

I problemi

Il primo trimestre è generalmente quello più delicato. Il fastidio classico, e più frequente, è quello delle nausee mattutine: spesso iniziano addirittura prima che la donna sappia a tutti gli effetti di essere incinta. Ma le modificazioni del corpo sono numerosissime: dalla salivazione abbondante a una sensazione di bruciore di stomaco, dalla stitichezza al mutamento del gusto e dell’appetito. Sono tutte piccole novità che si verificano già nelle prime settimane di gravidanza e che tendono a scomparire dopo il terzo mese. I disturbi come nausea, vomito e ipersalivazione sono probabilmente legati a un ormone secreto dalla placenta, la gonadotropina corionica (HCG): più alti sono questi livelli, più intensi sono i disturbi, con un picco generalmente collocato nel corso del secondo mese.

Non sempre questi fastidi sono scatenati dalla vista o dall’odore di determinati cibi o sostanze, ma può capitare. Nel corso delle prime settimane di gravidanza, si possono utilizzare alcuni rimedi per evitare queste conseguenze: evitare liquidi a colazione, e soprattutto a stomaco vuoto; fare pasti piccoli e frequenti; mangiare cibi secchi. Se la nausea diventa particolarmente intensa, così come il vomito, può diventare necessario un breve ricovero in ospedale con lo scopo di compiere gli esami in grado di verificare le condizioni del feto e della mamma.

Ansia e insonnia

C’è poi l’insonnia, tradizionalmente legata a quella percentuale di ansia che accompagna ogni donna durante la gravidanza, specialmente nella prima. Può bastare un esame leggermente fuori norma o una mancata percezione dei movimenti del bambino a scatenare preoccupazione, che può sfociare in difficoltà a dormire. Si tratta di una condizione facilmente superabile, spesso anche solo con sedativi blandi e naturali come una camomilla o una tisana a base di valeriana e melissa.

Il tema del prurito

Uno dei disturbi tipici è anche il prurito che si localizza sulla pancia, sul seno e sulle gambe (difficilmente raggiunge altre aree del corpo). Questo fastidio si manifesta solitamente nell’ultimo trimestre: le ragioni sono numerose. La pelle può tirare soprattutto quando sono in atto le fasi di “stiramento” durante la parte finale della gestazione.

Anche la presenza degli ormoni estrogeni e del progesterone nel sangue, che provoca una maggiore ritenzione idrica, finisce per dare una lieve sensazione di prurito nella parte bassa dell’addome e sulle gambe. Per questo motivo, a partire dai primi mesi, si consiglia spesso l’utilizzo di creme in grado di rendere la pelle più elastica, per affrontare poi la fase più delicata della crescita della pancia.

Se il prurito risulta molto fastidioso, oltre ad avvisare il ginecologo, è consigliabile l’utilizzo di lozioni rinfrescanti oppure frequenti bagni tiepidi a base di amido di riso, dal potere sfiammante. Le lunghe passeggiate all’aperto, ad andatura chiaramente lenta, possono inoltre facilitare la circolazione sanguigna delle gambe.

Un altro motivo scatenante del fastidio è una cattiva funzionalità del fegato, che può portare all’accumulo di sali biliari nei tessuti, favorito dai mutamenti ormonali che caratterizzano i nove mesi di gestazione. Il fegato non svolge le sue funzioni e il senso di fastidio generato dagli “scarti” delle cellule che rimangono in circolo finisce per diventare un prurito diffuso su braccia e gambe: utile, in questi casi, una profonda idratazione (almeno due litri di acqua naturale al giorno), oltre alla riduzione di alimenti speziati, fritti e salumi. Sono infatti tutti cibi che richiedono un grande sforzo al fegato. Se invece il prurito appare nei primi mesi di gravidanza, è probabile che sia dovuto a un fenomeno di allergia: spetta sempre allo specialista cercare di individuarne la causa scatenante per decidere il giusto intervento.

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Gravidanza, i problemi più seri causati da patologie: diabete gestazionale e ipertensione i più frequenti

Controllo medico (foto Ansa)
Controllo medico (foto Ansa)
Controllo medico (foto Ansa)

I disturbi marginali rappresentano solamente uno degli aspetti da tenere d’occhio nel corso della gravidanza. Durante i nove mesi di gestazione, infatti, alcune patologie possono provocare numerosi problemi al nascituro e alla mamma: ipertensione, diabete gestazionale, infezioni e malattie infiammatorie croniche sono le più frequenti.

Ipertensione

La pressione in gravidanza tende ad abbassarsi. Per questo motivo desta particolare attenzione la comparsa di dati superiori alla norma che può verificarsi soprattutto nel terzo trimestre. In questi casi, si consiglia lo svolgimento di alcuni esami, soprattutto quelli delle urine (con i dosaggi delle proteine) e del sangue, l’ecografia con flussimetria e una cardiotocografia, conosciuta anche come monitoraggio elettronico.

Diabete gestazionale

Nel corso dei mesi di gravidanza si può manifestare il cosiddetto diabete gestazionale. Il metabolismo degli zuccheri nel sangue è gestito dagli ormoni prodotti dal pancreas: il glucagone fa aumentare il tasso degli zuccheri, l’insulina lo riduce. In condizioni normali, il dosaggio è continuo. Si verifica il diabete quando l’insulina prodotta è insufficiente a limitare la concentrazione degli zuccheri nel sangue: il diabete gestazionale si manifesta in donne precedentemente sane e di solito si risolve dopo il parto, anche se in un’ampia percentuale di casi può lasciare una predisposizione a sviluppare la patologia in futuro.

Gli ormoni della gravidanza, in alcune donne, vanno a contrastare la produzione di insulina. Questa condizione è a rischio soprattutto per il nascituro: può comportare una crescita eccessiva del feto, un aborto o un parto prematuro. La probabilità che il bambino presenti il diabete alla nascita è però inesistente.

Citomegalovirus

L’infezione da citomegalovirus è una delle più controllate durante la gravidanza. Generalmente il primo contatto con il virus avviene già alla nascita o durante gli anni dell’infanzia: le vie di contagio più frequenti sono infatti la trasmissione al neonato durante il parto (infezione perinatale) per il contatto con secrezioni vaginali infette, oppure l’allattamento materno. Circa il 60% delle donne elimina il virus con il latte, trasmettendo però l’infezione al neonato. Un bimbo nato sano difficilmente sviluppa sintomi evidenti: non va incontro a complicazioni perché, oltre al virus, riceve parte degli anticorpi materni in grado di proteggerlo. Le eventuali malattie fetali in grado di generare malformazioni sono generate solo dall’infezione primaria da citomegalovirus: questa però si verifica una sola volta nella vita.

Se una donna ha già contratto in passato l’infezione, questa non può ripetersi. La verifica dello stato immunitario dovrebbe avvenire prima di pianificare la gravidanza.

Malattie infiammatorie

Le donne in età fertile sono soggette soprattutto a due tipologie di malattie infiammatorie croniche: colite ulcerosa e malattia di Crohn. La prima è una condizione di infiammazione della parete intestinale del colon, la seconda si innesca con un’infiammazione dell’ileo, la parte di intestino compresa tra stomaco e colon. Queste due patologie occasionalmente si manifestano durante i nove mesi di gravidanza.

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Aborto spontaneo, come cogliere i segnali d’allarme

Ecografia (foto Ansa)
Ecografia (foto Ansa)
Ecografia (foto Ansa)

Soprattutto nei primi tre mesi di gravidanza, esiste un campanello di allarme che non può essere trascurato: la perdita di sangue proveniente dalla cavità uterina, spesso accompagnata a contrazioni e fitte dolorose. Sono circostanze che configurano la minaccia di aborto. Quando una gravidanza si interrompe spontaneamente entro 180 giorni dalla data di inizio dell’ultima mestruazione si parla di aborto spontaneo.

Le verifiche mediche

L’aborto spontaneo è generalmente suddiviso in tre categorie: completo (si verifica l’espulsione spontanea sia dell’embrione, sia della placenta); incompleto (si verifica una espulsione parziale del tessuto embrionale: in questi casi, il materiale abortivo rimasto deve essere rimosso tramite raschiamento); interno, in cui l’interruzione di gravidanza non si accompagna a una sintomatologia tradizionale. Le cause più frequenti sono delle anomalie genetiche e cromosomiche del feto, responsabili di oltre del 50% degli aborti spontanei nel primo trimestre di gravidanza; delle caratteristiche dell’utero, come malformazioni e fibromi uterini, che generalmente si manifestano nel secondo trimestre; diabete, ipertensione, malattie renali croniche, malattie autoimmuni e infezioni di natura batterica. Non sempre la causa è identificabile. Quando si verificano casi di aborto ripetuto (cioè quando una donna affronta almeno due aborti spontanei nel corso della vita), diventa necessario cercare di individuare l’origine del problema.

Un’indagine che non si limita solo alla donna ma indaga l’intera storia clinica della coppia, con accertamenti clinico-strumentali che riguardano il corredo cromosomico dei due genitori, test di funzionalità tiroidea, colture cervico-vaginali, ecografia transvaginale, indagini sul sistema immunitario e altri esami che lo specialista ritiene utili per arrivare a formulare una diagnosi.

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