C’è un dolore che non si vede, ma che cambia la vita di chi lo porta dentro. Può paralizzare, spezzare il respiro, inchiodare a letto per giorni. E, troppo spesso, viene minimizzato, frainteso o addirittura ignorato. È quello dell’endometriosi, una malattia cronica che colpisce milioni di persone nel mondo, ma che ancora oggi resta avvolta in un velo di silenzio e disinformazione.

È una condizione complessa: cellule simili a quelle dell’endometrio – il tessuto che riveste l’utero – migrano in altre parti del corpo, colonizzando ovaie, tube, intestino, reni, vescica. Ogni mese, rispondendo agli stimoli ormonali, queste cellule si infiammano e sanguinano, ma non trovando una via d’uscita, creano aderenze, lesioni, dolore spesso insopportabile.

Chi ne soffre insiste sulla necessità di informare ed essere informati, così come ricorda Simonetta Lecca che qualche ha fa ha raccontato la sua esperienza in un   video (https://youtu.be/aIDS8umOhZ8) e oggi spiega in quattro punti perché è importantissimo parlarne.

Innanzitutto colpisce molte più persone di quanto si creda. L’endometriosi non riguarda solo chi si identifica come donna, ma tutte le persone con organi riproduttivi femminili. Eppure, molte di loro non sanno nemmeno di averla. Dolori lancinanti durante il ciclo? Disturbi intestinali inspiegabili? Stanchezza cronica? Troppo spesso questi sintomi vengono normalizzati e chi ne soffre viene lasciato solo con il proprio malessere.

La diagnosi poi arriva ancora oggi con anni di ritardo. Il tempo medio per ottenere una diagnosi di endometriosi è di sette-dieci anni. Un’attesa inaccettabile, frutto di un sistema medico che spesso segmenta il corpo in compartimenti stagni. Se hai dolori addominali, ti mandano dal gastroenterologo. Se hai problemi mestruali, dal ginecologo. Ma chi unisce i puntini? L’endometriosi è una patologia sistemica, che coinvolge più organi e funzioni. Servirebbe un approccio integrato, ma la realtà è che troppe persone restano in balia di visite specialistiche frammentate e risposte che non arrivano mai.

È una malattia invisibile, ma devastante. Guardare una persona che danza leggera o lavora con un sorriso non significa sapere cosa c’è dietro. L’endometriosi può portare a danni permanenti, interventi invasivi come la resezione intestinale, dolore cronico che condiziona ogni scelta quotidiana. Eppure, chi ne soffre si sente spesso dire “Ma sembri stare bene!”. L’invisibilità della malattia diventa un’arma a doppio taglio: non solo il dolore fisico, ma anche la frustrazione di non essere creduti.

E poi spesso sul lavoro si paga un prezzo altissimo. Avere una malattia cronica significa, per molte persone, scontrarsi con discriminazioni e penalizzazioni. Giorni di assenza per i dolori, visite mediche, interventi: tutto questo spesso non è compatibile con il mondo del lavoro così com’è strutturato oggi. E così, chi convive con l’endometriosi rischia di vedersi relegato ai margini, costretto a ruoli sempre meno gratificanti, fino a essere spinto a lasciare il proprio impiego. Un meccanismo crudele, che consuma le energie delle persone e poi le scarta.

L’endometriosi è vero, è una malattia, ma può anche diventare occasione di consapevolezza. Per chi la vive, può diventare uno stimolo a ripensare le proprie scelte, il proprio rapporto con il corpo, il modo di lavorare, di nutrirsi, di gestire le emozioni. Per la società, è un richiamo a guardare con occhi diversi chi convive con una patologia invisibile, ma reale.

Sensibilizzare non significa solo raccontare, ma soprattutto ascoltare chi soffre. Formare medici più attenti. Creare ambienti di lavoro più inclusivi. Smettere di dire alle ragazze che «il ciclo doloroso è normale» e iniziare a insegnare loro ad ascoltare il proprio corpo.

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