Ai confini del mondo, nel cuore dell'Oceano Atlantico, si staglia un piccolo sconosciuto arcipelago di rocce vulcaniche, nere come le criniere basaltiche della Giara, scoscese verso il mare come gli strapiombi di Capo Sperone nell'isola di Sant'Antioco. Sono le Isole Faroe, 50mila abitanti, 70mila pecore e un premio Nobel. Centottantaquattro positivi al coronavirus, 171 guariti, zero decessi. Niels Ryberg Finsen, premio Nobel per la medicina nel lontano 1903, figlio di queste sperdute isolette, ne sarebbe stato orgoglioso. Non foss'altro che lui, morto di una rara malattia metabolica, aveva speso la sua breve vita per combattere e distruggere i virus. Non andò a Stoccolma a ritirare il prestigioso riconoscimento. Viveva gli ultimi anni della sua vita in carrozzella e non voleva attribuire ad un altro paese diverso dalle sue isole quel riconoscimento. Nella pergamena la motivazione del premio più ambito, il Nobel per la medicina, è scolpita con inchiostro indelebile: «In riconoscimento del suo contributo al trattamento delle malattie, in particolare del lupus vulgaris, con radiazioni luminose concentrate, per cui ha aperto una nuova strada per la scienza medica». Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel luminare nato nelle isole delle pecore (da qui il nome dell'arcipelago) avrebbe spalancato una delle grandi frontiere per la lotta al coronavirus: il potere del sole.

La malattia e la forza - Niels Finsen soffriva di una malattia metabolica. La luce del sole, però, lo faceva sentire più energico. Iniziò presto a studiare i benefici medici della luce. Scrisse poche parole per ringraziare gli accademici che gli avevano conferito quel premio universale: «La mia malattia è stata responsabile delle mie prime indagini sulla luce: ho sofferto di anemia e stanchezza e da quando ho vissuto in una casa di fronte al nord, ho iniziato a credere che avrei potuto essere aiutato se avessi ricevuto più sole. Ho quindi trascorso più tempo possibile sotto i suoi raggi. Ho capito, però, che sarebbe stato inappropriato metterlo in pratica senza che la teoria fosse stata costruita su indagini scientifiche e fatti certi». Sapeva, il medico delle Faroe, che il sole poteva far bene e anche male. E che bisognava goderne nelle giuste dosi. «Ho quindi ideato - racconta Finsen - il trattamento del vaiolo a luce rossa (1893) e successivamente il trattamento del lupus (1895)». La scoperta fu strategica per il futuro: gli studi e l'intuizione di Finsen vennero testati anche in casi legati al maledetto virus della tubercolosi. I risultati furono promettenti. Un effetto battericida e stimolante sui tessuti. Una frontiera scientifica inesplorata era stata tracciata: il potere della luce, dalle innumerevoli applicazioni sugli uomini, sino ai materiali contaminati da virus.

Laboratori e ricerca - Dalle isole Faroe all'Università di Santa Barbara in California il passo è breve. Siamo al 2020. Piena pandemia universale. Nei laboratori del dipartimento dei materiali si lavora senza tregua per affinare i LED, raggi ultravioletti decisivi per l'eliminazione del coronavirus dalle superfici e, potenzialmente, dall'aria e dall'acqua. Si tratta di uno dei capisaldi del futuro: distruggere ogni potenziale rischio negli ambienti di vita quotidiana. Dalla disinfezione dei dispositivi di protezione individuale alle superfici, ai pavimenti, sino agli ambienti di ogni genere aperti al pubblico. Il potere della luce ultravioletta per disattivare il nuovo coronavirus ha un semplice numero. Lo fornisce una delle più avanzate strutture di ricerca al mondo, la Seoul Semiconductor : qualche giorno fa, all'inizio di aprile, ha riscontrato una «sterilizzazione del 99,9% di coronavirus (Covid- 19) in 30 secondi».

Una tecnologia in fase di adozione per uso automobilistico, in lampade a LED UV che sterilizzano l'interno di veicoli non occupati. A Santa Barbara, nel cuore della California, sono convinti di poter presto generare gli emettitori di luce UV-C più efficienti al mondo da applicare in ogni settore della vita per distruggere il coronavirus.

In attesa delle produzioni più sofisticate in Cina hanno già cominciato a sanificare i pullman con i raggi ultravioletti. In pochi minuti, senza nessun intervento umano, si distrugge ogni carica batterica, sterilizzando di fatto ogni mezzo pubblico destinato alla quotidiana fruizione. In alcune cliniche si stanno sperimentando robot che si muovono per i reparti, capaci di generare UVGI ( Ultraviolet germicidal irradiation ), raggi ultravioletti per sanificare, senza uso di alcuna sostanza chimica, le strutture ospedaliere. Tutti i batteri e virus testati sino ad oggi, centinaia negli ultimi anni, compresi altri coronavirus, rispondono totalmente alla disinfezione degli UVC.

La grande sfida - Dall'incantata isola delle pecore alla grande sfida per ripensare il futuro. Dai raggi ultravioletti di ultima generazione alla ricerca spasmodica della prima protezione in assoluto, quella con la quale dovremo nel bene e nel male convivere nella futura vita quotidiana. In pochi lo dicono con la chiarezza della realtà: senza mascherine per tutti, niente si può riaprire. Il rischio del "rompete le righe" senza protezione corrisponde ad un salto, al buio e nel vuoto. Taiwan, l'isola modello per la lotta al coronavirus nel mondo, per esempio, è passata nel giro di qualche ora dalla pace alla guerra. I militari schierati con un'azione fulminea, senza cannoni, a produrre una valanga di protezioni individuali, per adulti e bambini, visto che a questi ultimi nessuno ci pensava. Ieri il ministro dell'isola di guerra ha lasciato per un attimo il quartier generale per inaugurare in un incrocio di Taipei la prima macchina, di centinaia che saranno sparse ovunque, per la distribuzione automatica di mascherine.

Le mosse per la vittoria - La sfida delle isole da mettere in sicurezza e rimettere in marcia al più presto è giocata tutta sui numeri e sulle strategie.

La legge di Taiwan è scolpita nei numeri dell'isola. Ventiquattro milioni di abitanti, 395 contagiati, sei morti e da una settimana zero contagi. I due pilastri per mettere in sicurezza questo risultato si chiamano ingressi sicuri e controllati e monitoraggio costante della popolazione. Nelle isole i porti e gli aeroporti possono essere roccaforte di difesa e controllo ma anche varco per il virus.

Le Canarie, isole ispaniche, hanno arginato il disastro spagnolo ma hanno perso la sfida tra le isole del Mediterraneo. Su due milioni di abitanti oltre 2000 sono positivi con 111 morti. L'Islanda non va meglio sul piano dei contagiati, ben 1.754 su 364 mila abitanti ma fronteggia la pandemia nei decessi, appena 9. L'Islanda a differenza di tutte le altre isole ha, però, messo in campo un'azione senza precedenti per un test a tappeto, con un monitoraggio costante nel tempo. Si spiega così l'alto numero dei contagiati rilevato e il numero limitato di decessi. La sanità dell'isola di Cuba fa miracoli nel mondo. Esporta medici ovunque avendo la più alta dotazione di medici per abitante. Missioni commoventi, dall'Italia all'Africa. Le chiamano le brigate mediche. Pattuglie di specialisti che soccorrono il mondo. In patria reggono l'impatto nonostante l'embargo americano. Su 11 milioni di abitati appena 923 contagiati e 31 decessi.

Regge anche l'isola greca di Cipro. Con oltre un milione di abitanti appena 12 decessi. Malta chiude tutto, porti e aeroporti, qualche italiano del nord, però, buca la cortina di sicurezza. I contagi sono contenuti e i decessi sono appena 3. E poi la sorella Corsica. Argina i porti con qualche giorno di ritardo, meno di 400 contagi e zero decessi.

Benvenuti in paradiso - E poi le isole paradiso: le Seychelles e le Maldive. Poche decine di contagi, zero decessi. Alle Maldive, però, vanno oltre. Gli atolli soffrono per il mondo che si è fermato. Il governo non demorde. In dieci giorni, cinquanta lavoratori, fanno rivivere un'isoletta accessibile solo con una barca privata. Un resort di lusso abbandonato da anni che riprende la sua vita, con una nuova missione: la quarantena. Nell'isola esclusiva di Villivaru, famosa negli anni '80, nasce la prima località per trascorrere in paradiso l'inferno della quarantena. L'idea viaggia e i nababbi costretti alla clausura colgono la palla al balzo, tanto che il ministro del Turismo delle Maldive annuncia: abbiamo 1.158 camere libere, per un totale di 2.228 posti letto disponibili per coloro che devono essere messi in quarantena.

E poi ci sono le isole abitate, quelle dove occorre, in ogni latitudine del mondo, Sardegna compresa, sfruttare al meglio i vantaggi sconosciuti dell'insularità.

Punti d'accesso controllabili, dai porti agli aeroporti. Vere e proprie dogane sanitarie. Dalla schedatura medica all'anagrafe dei viaggi. Dal monitoraggio digitale a quello obbligatorio attraverso le celle telefoniche. Un punto di forza che altri non hanno. Varchi controllati h24, capaci di dare sicurezza ai residenti e certezze a chi vuole arrivare. Ripartire in un'isola è più facile che altrove. Passare, però, da un'isola protetta e sicura ad una cajenna per quarantena di massa è un attimo. E come insegna la lezione dell'isola delle pecore: il sole può far bene, basta non abusarne.

Mauro Pili

(Giornalista)
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