«Rinunciare al cibo mi dà una forza sovrumana, mi fa sentire potente». È una frase che tutte le ragazze anoressiche ripetono e si ripetono. In realtà è la malattia che parla. È una voce potente che si è insinuata nelle loro menti sino a diventare ossessione. Un dittatore che dice che se non fai così non sarai mai bella, non sarai all'altezza delle aspettative, che sarai punita. Molte la definiscono una cuccia calda, altre una coperta di Linus. È rassicurante. Ma è un fake della propria identità che porta a perdersi a non sapere più chi si è e che cosa si vuole. E innesca un conflitto perenne con la propria parte razionale e la propria intelligenza, di solito brillante, ed è così subdola e forte che rovina la vita isolando socialmente chi ne è affetto. E può condurre alla morte.

Sandra Zodiaco, 28 anni, racconta molto bene un disturbo complesso, che solo chi ha vissuto può descrivere. Sottovalutato dalla società e soprattutto dal Servizio sanitario nazionale, è curato in pochi centri in Italia nonostante si stimi che ne siano affette tre milioni di persone fra i 12 e i 25 anni e nonostante il ministero della Salute consideri i disturbi del comportamento alimentare «un'epidemia sociale». Così la maggior parte dei malati e delle famiglie sono lasciati soli con un dolore devastante.

Le esperienze

«È un disturbo che non ha a che fare col cibo e col corpo. Il corpo semmai parla ed esprime sofferenze e disagi profondi», racconta Zodiaco, insegnante di Lingue, ex anoressica che oggi dopo anni di lotta con la malattia ha trovato il suo equilibrio e ha scritto un libro che si intitola "Oltre. Scoprirsi fragili: confessioni sul mio disturbo alimentare", la raccolta della corrispondenza via mail con la sua terapeuta. Ieri Zodiaco era a Cagliari a raccontare la sua storia su invito di Ananke, una rete di specialisti per la cura dei disturbi alimentari. «Uscire dall'anoressia, come dalla bulimia o dagli altri disturbi è complicato perché per farlo occorre attraversare un dolore profondo. Ma dal dolore si fugge, di solito, lo si evita. Ed è per questo che spesso chi è affetto da questi disturbi, quando riconosce di averli, non vuole guarire. Invece», dice, «in questo caso non c'è alternativa. Per tornare alla vita occorre uscire dalla gabbia e attraversare l'inferno con un coraggio immenso sfidando quella voce ossessiva apparentemente invincibile». Con il sostegno della famiglia, che però da sola non basta. Serve una rete di specialisti - dallo psichiatra allo psicologo, dal nutrizionista all'internista, dall'infermiere all'educatore - che devono lavorare assieme giorno dopo giorno in reparti specializzati o in strutture comunitarie.

Sardegna all'anno zero

La Sardegna da questo punto di vista è all'anno zero. Un ambulatorio appena nato al centro di salute mentale della Assl di Cagliari, un centro residenziale a Iglesias che muove i primi passi. Nessun supporto a pediatri e medici di base, nessun ospedale che abbia reparti ad hoc né sappia prendersi carico di pazienti acuti che spesso hanno bisogno dell'alimentazione forzata, nessuna comunità. Solo specialisti privati, alcuni riuniti attorno alla rete Ananke e alcune associazioni che fanno un lavoro enorme, come "Voci dell'anima" a Cagliari e "Canne al vento" a Sassari.

Sensi di colpa

Luigi Cabua, psicologo e psicoterapeuta, direttore della rete Ananke di Ancona ma sardo di Samatzai, spiega che «l'insorgere di un disturbo del comportamento alimentare coincide spesso con passaggi importanti della vita in cui si perde la percezione di sé e del proprio ruolo. Si teme di deludere le aspettative di qualcuno o di deludersi e si genera una "crisi della presenza" in cui ci si sente estranei a se stessi. E così, governati dalla malattia, ci si priva del cibo per togliere forma al proprio corpo, regredendo spesso a una morfologia infantile».

E a proposito di madri, quelli alimentari sono disturbi che generano sempre sensi giganteschi di colpa nei genitori, come hanno ricordato Elisabetta Manca di Nissa e Giovanna Masala, fondatrici delle due associazioni attive nell'Isola. «Bisogna ignorarli», avvertono». Perché può essere affetto da anoressia o bulimia chi è stato molto amato e chi non lo è stato. E allora occorre chiedere aiuto. Perché se è vero, come sostiene Maria Pusceddu, biologa, psicologa e psicoterapeuta, che «abbandonare queste condizioni patologiche richiede una trasformazione di se stessi» non lo si può fare da soli.

Fabio Manca

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