Non rappresenta uno stato d’animo e nemmeno una sensazione temporanea di malessere. La depressione è un vero e proprio disturbo, che in Italia colpisce oltre 3 milioni di persone. Studi recenti hanno dimostrato che la tipologia “maggiore”, caratterizzata da sintomi accentuati, è circa due volte più comune nelle donne rispetto agli uomini. Le ricerche dimostrano inoltre che il primo episodio di depressione si manifesta spesso in età puberale e dunque tra i giovani di età compresa tra i 13 e i 18 anni. Sempre dal punto di vista anagrafico, il disturbo ha una probabilità maggiore di emergere tra i 30-40enni rispetto alla decade successiva.

Il rischio di depressione aumenta poi con condizioni neurologiche come l’ictus, il morbo di Parkinson o la sclerosi multipla, le malattie vascolari e durante il primo anno dopo il parto.

A questo proposito, la depressione post partum colpisce a livello nazionale il 10-15% delle donne entro il primo anno di vita del nascituro (di solito entro i primi tre mesi) e viene così definita se i sintomi perdurano per oltre due settimane, diventando invalidanti.

Questo criterio consente di distinguere il disturbo dalla depressione transitoria, denominata “baby blues”: una condizione molto frequente durante la prima settimana successiva al parto e che, in linea di massima, dura 2-3 giorni fino appunto a due settimane, presentando sintomi relativamente leggeri.

I segnali sono comunque comuni alle due forme: rapidi sbalzi d’umore, ansia, irritabilità, diminuzione della concentrazione, insonnia e crisi di pianto. A questi si sommano ulteriori sintomi: tristezza estrema; attacchi di panico; ansia; pianto incontrollabile; insonnia o ipersonnia; perdita di appetito; rabbia; mal di testa e mialgie; preoccupazione eccessiva nei confronti del bambino o, viceversa, disinteresse.

Gli effetti del Covid

Inoltre non si possono non citare le conseguenze, anche a lungo termine, del Covid-19 sulla salute mentale della popolazione.

Secondo una recente ricerca, la malattia accresce del 10% i sintomi di disagio mentale nell’anno successivo all’infezione. Tra questi, oltre ad ansia e insonnia, anche la depressione.

Tuttavia, l’aumento dei casi degli ultimi anni non è legato soltanto al Covid-19: già nel 2019 il 7% delle persone soffriva di depressione, mentre un quarto dei lavoratori aveva segnalato una condizione di ansia e di stress. Gli effetti della pandemia si sono comunque fatti sentire in tutta Europa: le persone che patiscono la solitudine sono raddoppiate proprio durante il biennio più critico (2020-2022).

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La depressione fra umore negativo e perdita di interesse: tra i fattori alla base del problema, eventi traumatici, squilibri ormonali ed ereditarietà

Il confine che delimita la sensazione di tristezza (“I’m feeling blue”, per gli inglesi) dalla depressione vera e propria risiede nella gravità del disturbo. Quando infatti questa condizione interferisce con le attività quotidiane e la salute psicofisica di una persona, allora si tratta di depressione.

Il disturbo può essere dovuto a una perdita o a un altro evento drammatico, di fronte al quale l’individuo reagisce in maniera eccessiva per un lungo periodo. Gli altri fattori che possono contribuire all’insorgere di questo problema sono l’ereditarietà, gli effetti collaterali di determinati farmaci, gli squilibri ormonali.

La persona depressa diventa triste e apatica, perdendo l’interesse per le attività che, in un passato anche recente, aveva apprezzato: sport, eventi culturali e artistici, pratica di un hobby.

Le diverse categorie

La medicina, in particolare, riconosce almeno tre tipologie principali di depressione.

La prima, classificata come “disturbo depressivo maggiore”, si riscontra nei pazienti che si sentono depressi per almeno due settimane. Fisicamente, il soggetto appare prostrato e annichilito; i suoi occhi sono gonfi di lacrime, gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Tendenzialmente, evita il contatto visivo e presenta una scarsa espressività facciale e un modo monocorde di parlare.

Il “disturbo depressivo persistente” dura per almeno due anni, anche se i sintomi (in misura variabile) possono rimanere anche per decenni. Chi rientra in questa categoria è cupo, pessimista, scettico, diffidente nei confronti del futuro, incapace di divertirsi e di fare dell’ironia.

Alcuni si sentono privi di energie, altri avvertono un senso di inadeguatezza e di preoccupazione di fronte agli eventi negativi, a tal punto da sentirsi gratificati dai propri fallimenti.

Attenzione poi al “disturbo disforico premestruale”: com’è facilmente intuibile, esso appare prima del ciclo mestruale e scompare al suo temine, causando però alla donna tutti i sintomi delle condizioni sopra descritte.

Oltre a questa classificazione, si deve ricordare la depressione da lutto prolungato, connessa alla persistente tristezza dovuta alla perdita di una persona cara e non, quindi, a una sensazione di fallimento. In questa caso il disturbo è tale se perdura da almeno un anno dopo la morte della persona e se questa sofferenza è accompagnata da tre o più di questi elementi: incredulità; intenso dolore emotivo; sensazione di confusione di identità; l’evitare ciò che riporta alla memoria la perdita; insensibilità; intenso isolamento; sensazione di insignificanza e difficoltà a impegnarsi nel quotidiano.

Nei casi più estremi

L’epilogo più drammatico del disturbo depressivo è, purtroppo, il suicidio; una decisione che viene presa dal 15% delle persone che soffrono di questi problemi e che non vengono trattate in maniera adeguata dal punto di vista farmacologico e terapeutico.

Va ricordato che, nel caso in cui un soggetto manifesti istinti di questo genere oppure desideri autolesionistici, il medico può decidere di ricoverarlo per tenerlo sotto osservazione, preservandogli l’incolumità.

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Se la rete ci imbriglia: quando i social aumentano i rischi

Il sentirsi inadeguati e preoccupati di fronte alle avversità è una sensazione che si avverte anche nel mondo di Internet, con risvolti preoccupanti. Secondo recenti ricerche americane, infatti, i giovani che restano attivamente connessi alla rete - con particolare riferimento ai social network - per più di due ore al giorno corrono il rischio di sviluppare più di altri una forma di depressione fin dalla giovane età o comunque da adulti. Oltre a questo stato depressivo, le ragazze e i ragazzi possono provare ansia, disturbi ossessivo-compulsivi e avere un’errata immagine e considerazione del proprio aspetto corporeo. La rivista Journal of Clinical Psychology sulla quale è stata pubblicata la ricerca ha evidenziato come il mondo dei social esponga i ragazzi a un continuo confronto con gli altri che non necessariamente li fa uscire vincenti. Anzi, il problema di fondo è proprio questo: paragonarsi con gli altri, sentirsi inferiore e dunque cadere in uno stato depressivo. Questa condizione si scatena nella mente dei ragazzi nonostante la vita che i loro coetanei (e non solo) dimostrano sui social non sia la veritiera rappresentazione della realtà, bensì una sua immagine distorta, provocando un senso di fallimento e il desiderio di isolarsi dagli altri. Un secondo studio, condotto dalla Brigham Young University, ha messo in relazione uso dei social media e depressione: i risultati di questa ricerca hanno rilevato che gli adolescenti e i giovani adulti che li usano con più frequenza hanno una probabilità maggiore di sviluppare la depressione entro sei mesi, soprattutto se la loro personalità presenta dei tratti narcisistici.

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