Una malattia molto spesso silenziosa, che nella sua fase iniziale non fa suonare alcun campanello d’allarme: quando si manifesta, rischia di essere troppo tardi per intervenire in maniera adeguata. È la cirrosi epatica, comunemente causata da fattori come abuso di alcol, presenza di epatite B o C, oppure da steatosi epatica non alcolica. Una malattia cronica e degenerativa del fegato, che si verifica quando una grande quantità di tessuto epatico viene sostituita da tessuto cicatriziale: l’organo perde così progressivamente le sua funzionalità. Un quadro allarmante che può generare anche delle pesanti conseguenze sull’intero organismo.

La condizione

Il fegato affetto da cirrosi diventa gradualmente meno efficace nel metabolizzare e nel rimuovere sostanze di scarto e tossine, oltre che nel produrre le proteine necessarie alla coagulazione del sangue. I sintomi possono aggravarsi nel corso del tempo e diventare fatali: la cirrosi, infatti, può portare molto spesso alla morte. In linea generale, la cirrosi può essere provocata da qualunque fattore che determina un danno epatico, come ad esempio altre patologie, sostanze attive oppure tossine. L’abuso di alcol rimane il fattore di rischio principale almeno per quanto riguarda i Paesi occidentali.

La sintomatologia e la diagnosi

La “silenziosità” della cirrosi è uno degli ostacoli principali per arrivare alla diagnosi, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Si stima che circa un terzo dei pazienti non sviluppi nessun sintomo per una finestra temporale molto ampia. Il soggetto è dunque in buona salute e il fegato funziona regolarmente. Secondo l’analisi condotta dall’Istituto Superiore della Sanità, i sintomi principali comprendono nausea, perdita di appetito, calo di peso corporeo, stanchezza e debolezza. Nel momento in cui la situazione diventa più seria, l’ingiallimento della pelle è forse il sintomo che desta maggiore attenzione, oltre ai problemi digestivi, alla mancanza di concentrazione, a una sonnolenza frequente e a una difficoltà di memoria. Rappresentano sintomi meno frequenti delle condizioni come eritemi, che sono conseguenza delle emorragie dei capillari cutanei, e dei depositi di grasso sulla pelle, spesso accompagnati da una sensazione di prurito. Quando la cirrosi è dovuto all’abuso di sostanze alcoliche, la massa muscolare si riduce, le dita curvano verso il palmo e le ghiandole salivari possono crescere oltremodo. Quando ci si rivolge a un medico per esplorare la possibile presenza di cirrosi epatica, il primo passo è un’analisi approfondita compiuta tramite gli esami del sangue, necessari per verificare il corretto funzionamento del fegato. I valori tenuti d’occhio sono il livello di bilirubina, albumina e piastrine. Si può inoltre decidere di prescrivere una tac o effettuare una biopsia al fegato.

La cura

Nonostante i progressi della ricerca scientifica, non esiste una cura in grado di rallentare o arrestare l’evoluzione della cirrosi epatica. Quello che può essere fatto è un intervento sulle cause scatenanti della cirrosi, per far sì che non peggiorino ulteriormente la situazione:  smettere di assumere alcol nei casi in cui la patologia è legata agli alcolici, oppure individuare la giusta terapia farmacologica caso per caso. Nel suo stadio più avanzato, quando la malattia è considerata irreversibile, la sola possibilità di cura efficace risulta essere il trapianto di fegato.

La ricerca

Esiste però uno studio coordinato da un gruppo di ricercatori del Policlinico Sant’Orsola di Bologna e pubblicato sulla rivista The Lancet che analizza i risultati di una terapia innovativa, basata sulla somministrazione di albumina. Secondo quanto analizzato dai ricercatori, sarebbe stata certificata una riduzione del rischio di mortalità a 18 mesi del 38%: lo studio ha coinvolto in più di dieci anni ben 33 centri specializzati, con il coinvolgimento anche dell’Agenzia Italiana del Farmaco. I pazienti esaminati nel corso della ricerca sono stati 440 e i risultati evidenziano l’efficacia del trattamento sull’intera malattia e non solo sulle singole complicanze.

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Cirrosi, le cause patologiche di un problema grave

Oltre all’abuso di alcol, la cirrosi epatica può essere provocata dalla presenza di altre patologie. L’organo solitamente è in grado di rigenerarsi, ma quando il danno è ripetuto, come nel caso delle affezioni, avviene un processo di cicatrizzazione, dando origine alla fibrosi epatica, che può arrivare a minarne la struttura interna. Quando questo fenomeno risulta particolarmente grave, si parla di cirrosi.

L’epatite C

La principale patologia responsabile dell’insorgere della cirrosi è l’epatite C. Secondo gli studi condotti dall’Istituto Superiore di Sanità, è infatti la causa della cirrosi nel 58% dei casi, seguita a enorme distanza dall’epatite B (17% dei casi) e dalla steatosi (7%).

Nei casi di epatite C, il primo danno è generalmente di lieve entità e tende a non presentare alcun sintomo, salvo poi degenerare e aumentare di gravità con il passare dei mesi, in alcuni casi addirittura degli anni. Cogliere i primi segnali dell’epatite C diventa fondamentale per intervenire in tempi brevi: si manifesta generalmente con senso di stanchezza, inappetenza, dolori muscolari e problemi di digestione. Con il tempo si aggrava e va a incidere sulla corretta funzionalità del fegato, con sintomi sempre crescenti: lividi frequenti, perdita di peso, prurito. L’epatite C è ormai curabile tramite l’assunzione di farmaci antivirali ad azione diretta. A livello demografico, colpisce maggiormente le persone più anziane e nelle regioni del Sud Italia e nelle isole.

L’epatite B

L’epatite B è la seconda patologia per incidenza tra quelle che provocano l’insorgere della cirrosi epatica. Proprio come l’epatite C, è una malattia di natura virale, che tende a cronicizzare in tempi brevi. I sintomi principali sono vomito e nausea, e oltre alla cirrosi l’epatite B può provocare anche lo sviluppo del cancro al fegato. La trasmissione avviene generalmente tramite contatto con sangue infetto o con altri liquidi fisiologici di una persona affetta dalla malattia, caratteristica che la accomuna all’epatite C. A differenza di quest’ultima, però, esiste un vaccino che viene ritenuto efficace nel 95% dei casi.  Secondo quando sostenuto dall’Iss, ci possono volere anche 20 anni prima che un’epatite cronica si trasformi in una cirrosi.

I problemi accessori

La cirrosi epatica, quando raggiunge il suo stato avanzato, comporta numerosi problemi al paziente. L’ipertensione portale, vale a dire quella che si genera nella vena porta, può provocare uno shock tale da risultare fatale.

Inoltre, se collegata a delle affezioni epatiche, questi problemi di pressione arteriosa possono favorire l’accumulo di liquido nell’addome, che risulta particolarmente gonfio e teso. Inoltre, la cirrosi va a ostacolare l’assorbimento di alcune sostanze che sono particolarmente preziose per il nostro organismo: le vitamine D e K, per esempio, andando in questo modo a ridurre il numero di globuli bianchi e rendendoci più esposti a possibili infezioni. L’insufficienza epatica può generare problemi anche a livello cerebrale, con un graduale deterioramento delle funzioni primarie.

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Cirrosi, le correlazioni: dall’encefalopatia ai rischi per il Covid

Gli ultimi dati relativi al nostro Paese in merito alla cirrosi epatica sono quelli pubblicati nell’ottobre del 2020, con circa 20mila decessi in un anno. Ma uno studio realizzato da Motore Sanità ha evidenziato un allarme relativo al Covid: i pazienti affetti da cirrosi epatica sono più suscettibili all’infezione e, per questo motivo, sono stati inseriti nelle categorie considerate a rischio. La malattia da Covid presenta infatti un decorso clinico più severo nei soggetti colpiti da cirrosi epatica.

L’encefalopatia epatica

Una ricerca condotta dall’Università di Roma Tor Vergata e dalla Kingston University di London ha esaminato i dati italiani per cercare di analizzare le probabilità di decesso nei vari gradi di gravità di encefalopatia epatica conclamata, una condizione nota anche come coma epatico nei suoi stadi avanzati: è emerso che in occasione del primo ricovero la probabilità è del 32%, che scende al 29% per i dimessi a un anno dal ricovero e risale al 33% entro il secondo anno. L’impatto stimato sul Sistema sanitario nazionale è di circa 13mila euro per singolo paziente, con una spesa che, su scala italiana, è di circa 200 milioni di euro all’anno per la sola assistenza ospedaliera. Nei soggetti che presentano cirrosi epatica, il rischio di sviluppare l’encefalopatia epatica è del 20% nel primo anno di malattia, che sale ulteriormente con il passare del tempo. La condizione si riscontra nei casi di insufficienza epatica: quando il fegato non riesce più a rimuovere le sostanze tossiche che si accumulano nel sangue, va in affanno. Si arriva alla diagnosi grazie a esami del sangue mirati (in particolare i livelli di ammoniaca) e all’imaging dell’encefalo. Se trattata in maniera opportuna, l’encefalopatia epatica è una situazione reversibile. Nei casi più gravi, quando l’insufficienza epatica è acuta, l’insorgere dell’encefalopatia rappresenta il segnale per la necessità di un trapianto di fegato.

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