Un fitofarmaco con oltre 500 principi attivi, alleato nella lotta al dolore. Quello neuropatico che non passa neppure con i farmaci più potenti, analgesici o oppiacei. La cannabis è entrata già da alcuni anni nei protocolli terapeutici e la Sardegna è, dal punto di vista normativo, all’avanguardia nella cura assicurata dal servizio sanitario nazionale grazie a una legge del 2017. Ma ancora ci sono molte resistenze anche da parte dei medici di base. «Sbagliano – dice Tomaso Cocco, specialista in Anestesia e Rianimazione e terapia del dolore – perché la legge 38 del 2010 dice che il dolore cronico è una malattia. E come tale deve essere trattata, con i mezzi che abbiamo a disposizione».

Il protocollo

Cocco, che lavora all’ospedale Binaghi di Cagliari, è un pioniere nell’utilizzo della cannabis terapeutica e ad oggi il centro di terapia del dolore della struttura cagliaritana è un punto di riferimento in Sardegna (dove ci sono altri casi ma più limitati). Un’esperienza di otto anni, quella del Binaghi, che è stata recentemente illustrata ad Olbia nel corso di un convegno. «La legge – spiega Cocco – stabilisce che la cura con la cannabis terapeutica può essere mutuabile in casi molto precisi: il dolore cronico neuropatico, la spasticità muscolare nella sclerosi multipla, la nausea e il vomito nel paziente oncologico, l’epilessia e il glaucoma. E quando non siano stati ottenuti risultati con gli altri farmaci». Nel centro di terapia del dolore finora sono stati seguiti 1166 pazienti, in larga maggioranza fibromialgici. Anzi, fibromialgiche. «La proporzione tra donne e uomini è di 9 ad uno perché sono patologie che colpiscono maggiormente le donne», spiega Cocco: «Abbiamo una paziente che seguiamo dal 2015 quando ho iniziato a utilizzare la cannabis nella terapia del dolore». Ma la durata media della terapia è di due anni e mezzo con piani terapeutici di sei mesi. «Parliamo di un’erba medica, un dono di Madre Natura che bisogna sapere usare. La pianta ha 500 principi attivi, 200 cannabinoidi. Il suo utilizzo va a potenziare un sistema del nostro corpo che già in condizioni fisiologiche produce endocannabinoidi, portando benefici per i sintomi di alcune patologie». Il tutto, naturalmente, sotto stretto controllo medico e rigidi protocolli.

La coltivazione

La cannabis terapeutica esiste in varie formulazioni, anche come farmaco industriale, ma nella maggior parte dei casi i pazienti ricorrono – sempre su prescrizione medica – alle preparazioni galeniche che vengono preparate in alcune farmacie (che si approvvigionano della materia prima dallo stabilimento militare farmaceutico di Firenze), prevalentemente nella formulazione liquida da somministrare in gocce. «La qualità della pianta deve essere altissima e con una congrua percentuale di Thc», spiega ancora Cocco: «In Sardegna, al momento, non c’è una produzione di questo tipo e la cannabis viene solitamente importata da Canada, Portogallo e Olanda dove viene coltivata in serra e in condizioni che escludono un passaggio di sostanze nocive dal terreno». C’è un rischio dipendenza nella cannabis terapeutica? «No», assicura lo specialista: «Il dosaggio del thc è controllato».

Il sondaggio

Nel corso del convegno di Olbia il centro medico Clinn ha presentato un sondaggio realizzato da Swg con il Comitato Fibromialgici Uniti rivolto ad un panel di 419 pazienti. Oltre un terzo dei pazienti intervistati sta seguendo o ha seguito una terapia a base di cannabis e oltre il 50% vorrebbe avere questa possibilità in futuro. Oltre la metà degli intervistati che hanno assunto cannabis terapeutica dichiara effetti positivi in relazione al dolore, ai disturbi del sonno e alla rigidità muscolo scheletrica.

Caterina De Roberto

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