«Oggi è la Giornata dedicata ai Disturbi alimentari ed è opportuno portare all’attenzione generale su questo tipo di problematiche a partire dai dati epidemiologici, che indicano chiaramente la portata del problema». Il parere autorevole è quello del professor Bernardo Carpiniello, direttore della Psichiatria dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, ospite di una puntata di “15 minuti con…”, il talk di approfondimento sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda e condotto dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e relazioni esterne dell’Aou.

«Una recente revisione sistematica della letteratura epidemiologica», prosegue Carpiniello, «ha riportato percentuali medie di prevalenza che vanno dall’1,4% per anoressia nervosa (0,1–3,6% per le donne e lo 0,2% per gli uomini), a una frequenza dell’1.9% della bulimia nervosa (1,9% per le donne e lo 0,6% per gli uomini) e una frequenza del BED (Binge Eating Disorder, o Disturbo da Alimentazione incontrollata) del 2,8% per le donne e dell’1,0% (0,3–2,0%) per gli uomini. I dati derivanti da uno studio mondiale sull’impatto globale delle patologie mentali, noto come Global Burden of Disease Study indica come, negli ultimi 30 anni, ci sia stato un marcato aumento nella popolazione giovanile un aumento allarmante del tasso di disturbi alimentari stimato del 24,3% nella bulimia nervosa e del 17% nell’anoressia nervosa. Per l’anoressia nervosa l’aumento dei casi riguarda soprattutto le giovani donne».

«I disturbi alimentari», specifica il professore, «necessitano di una forma di terapia multidisciplinare che di solito può essere fornita in regime ambulatoriale, sebbene le persone affette da sintomi più gravi o con comorbidità psichiatriche e fisiche, o resistenti ai trattamenti ambulatoriali possano giovarsi di un programma specialistico ospedaliero parziale (day hospital) o di un ricovero ospedaliero o di tipo residenziale. L’approccio terapeutico è principalmente basato su interventi psicoterapici specifici, individuali o di gruppo, familiari, di tipo psicoeducativo, di riabilitazione nutrizionale e di tipo psicofarmacologico in casi selezionati, oltre che di misure specifiche, necessarie in caso di rilevanti complicanze somatiche. Tale approccio ha bisogno di un’équipe multidisciplinare, costituita di base da psichiatri/neuropsichiatri infantili, psicologi, nutrizionisti, terapisti della riabilitazione, infermieri, terapisti della riabilitazione con specifiche competenze nel settore. Secondo le recenti linee di indirizzo, ogni Dipartimento di Salute mentale dovrebbe dotarsi di una unità operativa dipartimentale deputata al trattamento dei Disturbi dell’alimentazione, una misura di recente adottata dal Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Cagliari».

«Un aspetto importante riguarda il ruolo di eventi stressanti intercorrenti nel modulare, in questo caso negativamente, l’esito dei trattamenti», sottolinea il medico. «In tal senso depongono i dati emersi da ricerche effettuate durante la pandemia da Covid-19, che sembra aver comportato un peggioramento complessivo delle condizioni dei persone affette da Disturbi dell’alimentazione in trattamento. In particolare, uno studio multicentrico italiano riguardante oltre trecento casi (57,4% con diagnosi di anoressia nervosa, 20,2% con bulimia nervosa, 15,4% con BED e 7% affetti da altri disturbi specificati dell’Alimentazione), al quale abbiamo partecipato come Unità di psichiatria dell’Aou di Cagliari, ha evidenziato come queste persone hanno mostrato, durante l’emergenza Covid-19, un peggioramento della psicopatologia sia generale che specifica, un effetto che è persistito anche dopo il lockdown, a dimostrazione dell’elevata vulnerabilità allo stress di questi casi. I peggioramenti più marcati sono emersi in particolare fra coloro che avevano avuto esperienze traumatiche precoci (infantili e adolescenziali) nella loro vita».

Luca Mirarchi

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