Oggi, in Consiglio Regionale, stando alle previsioni, dovrebbe riprendere la discussione per l’approvazione del progetto di legge “che resuscita le Province e spolvera le sedie orfane da tempo di natiche politiche, sempre se gli scontri tutti interni alla maggioranza sardo-leghista siano terminati”.

A noi non resta altro da fare, per il momento, che prenderne atto, sia pure con spirito fortemente critico in considerazione degli effetti potenzialmente pregiudizievoli sul territorio isolano di un riordino “disordinato” e “pasticciato” di quella consistenza, che più che “giustificare” il perimetro isolano sul piano strutturale e funzionale interno, sembra piuttosto porsi come una sorta di vero e proprio “regolamento di conti” rispetto alla teoria del “Cagliari-Centrismo” che sembra aver finora dominato e “razionalizzato”, riconducendola ad unità imposta, l’azione politica locale.

Le ragioni di questo che è un malcontento variamente diffuso possono rinvenire le proprie radici ideologiche in riflessioni ancorate a considerazioni di vario genere e livello. Tanto più, allorquando si voglia tenere nella debita considerazione quanto in appresso: ogni “riforma” che si proponga di intervenire nella delicata materia del riordino degli Enti Locali, dovrebbe innanzitutto fondarsi, quanto meno negli intenti da proclamarsi, perlomeno su due presupposti programmatici, tanto inflazionati nel linguaggio politico degli ultimi anni, ma mai tradotti sul piano governativo vero e proprio: la economicità dell’intervento riformatore e lo snellimento del farraginoso apparato burocratico. “Snellimento”, laddove utilmente conseguibile, perché elidere uno o più livelli amministrativi, avrebbe potuto, negli anni passati, e potrebbe oggi, condurre all’individuazione di un apparato burocratico maggiormente dinamico e funzionale, e, per converso, ad una minore sovrapposizione tra enti. “Risparmio”, perché, conseguentemente, l’intero sistema degli Enti Locali, attraverso l’efficientamento (nella sua accezione, appunto, di riduzione dei costi a parità di risultato, se non addirittura a fronte di un miglioramento della qualità di quanto “prodotto”, in questo caso, in termini di gestione del territorio) dei meccanismi di funzionamento, avrebbe potuto condurre, e potrebbe oggi ancora condurre, ad una flessione significativa delle varie voci di spesa.

Nulla quaestio, se solo non fosse che proprio quei presupposti, ma anche obiettivi, programmatici, sistematicamente, non sembrano essere mai stati perseguiti. E anche questa volta, purtroppo, potrebbe risolversi tutto in “un (altro clamoroso) buco nell’acqua” a tutto nostro pregiudizio. In buona sostanza, e limitandoci al dato letterale, il Testo Unificato, che si propone di rivoluzionare il sistema delle autonomie locali in Sardegna, e che, a tutt’oggi, il Consiglio Regionale non è riuscito ad approvare a cagione degli attriti/giochi di potere, vergognosamente insorti proprio in seno alla maggioranza, che pure lo ha fortemente voluto, prevede l’istituzione della Città Metropolitana di Sassari (attualmente Rete Metropolitana), l’allargamento della circoscrizione territoriale della Città Metropolitana di Cagliari (che passerà dagli attuali 17 a 72 Comuni), l’istituzione della Provincia della Gallura, di quella dell’Ogliastra, del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano con conseguente soppressione delle Province di Sassari e del Sud Sardegna. Ma non è ancora tutto: il Testo Unificato prevede anche la possibilità, per le singole Province, quasi fosse un palliativo per “malati terminali” senza speranza di crescita e sviluppo, di “associarsi” in “Unioni di Province”, costituite da Province contermini, fino ad un massimo di tre, per la gestione associata di funzioni e servizi, con possibilità per ogni ridetta singola Provincia di entrare a far parte di una sola “Unione di Province”.

Ebbene: non so se si tratti di una impressione solo mia, ma questa “riforma”, o meglio, questo che appare come un disordinato groviglio di norme, che aspira, ahimè inutilmente, ad essere “riforma” di senso compiuto, sembra presentarsi con uno spartito con più d’una nota stonata e senza “Chiave di Sol”, ossia in difetto di quel simbolo posto all’inizio del pentagramma (Territorio Regionale della Sardegna) con la funzione di fissare, lo diciamo metaforicamente, la posizione delle note (Province, Città Metropolitane e Unioni di Province) e l’altezza dei relativi suoni (apparato burocratico-funzionale e suo coordinamento sistematico e inter-relazionale). Si ha l’impressione che si voglia cambiare tutto per non cambiare un bel niente, se non il numero degli enti “papabili”: “In tutto il mondo ci si interroga su come affrontare la più grave emergenza sanitaria del dopoguerra, e noi ci occupiamo di poltrone”, ebbe modo di osservare Massimo Zedda, ex sindaco di Cagliari facente parte del Gruppo dei Progressisti, solo qualche tempo fa. “Una legge arlecchino” la definì, e piuttosto severamente, lo stesso Roberto Deriu, consigliere regionale in forze al Partito Democratico e già presidente della Provincia di Nuoro dal 9 maggio 2005 al 16 febbraio 2014. Oggi, “fatti i debiti mutamenti”, si ha solo l’impressione che la costante trasformazione delle regole giuridiche tutto appaia voler perseguire a costo di un profondo stato confusionale sul piano normativo, ma non quello che dovrebbe essere l’interesse “primo” della nostra compromessa realtà territoriale: il ricompattamento geografico, economico ed umano idoneo a garantire la crescita demografica ed occupazionale interna. L’azione riformatrice delle autonomie locali intrapresa dal centro-destra sardo a trazione leghista, nel frettoloso ed acritico tentativo di ridurre i tempi del contraddittorio e della riflessione organica, dimentica pericolosamente di affrontare la questione spinosa delle “zone interne”, ancora abbandonate a se stesse, e non solo, con la indispensabile visione “relativa”, ma non relativista, di quella che è, e dovrebbe essere, la realtà istituzionale sarda, la quale dovrebbe indirizzare la propria attività, tra l’altro, nel senso di porre rimedio al cronico fenomeno di dispersione territoriale e connesso spopolamento delle aree “centrali” attraverso meccanismi di interconnessione “geografica” e “fisica” che possano consentire e favorire uno sviluppo omogeneo sul piano economico e produttivo.

La questione, si capisce, è tutt’altro che di scarso momento: anziché favorire l’aggregazione dei territori per combattere e contrastare, una volta per tutte, isolamento e perifericità quali “tumori cronicizzati” del nostro assetto compositivo territoriale cosiddetto a “ciambella”, il Consiglio Regionale, attraverso la Commissione a ciò deputata, sembra voler proseguire sulla via della ulteriore parcellizzazione del perimetro isolano attraverso la creazione di “agglomerazioni demografiche” di varie dimensioni costituenti singoli compartimenti stagni non solo rispettivamente disancorati gli uni dagli altri, quasi fossero “blocchi a se stanti”, ma anche da quella parte di territorio montano che, nella sua complessa articolazione agro-pastorale, negli anni addietro, ha costituito il motore propulsore dell’economia locale garantendo un minimo livello di accettabile benessere che a ben considerare avrebbe dovuto essere a tutt’oggi garantito e valorizzato. Se è vero, come è vero infatti, che le “autonomie territoriali” si riflettono all’esterno nei termini strettissimi di “enti esponenziali” delle comunità autoctone e dell’azione politica ad esse auto-riferita, allora sembra apparire come dato innegabile che, attraverso la riforma “in fieri”, il Consiglio intenda procedere sulla via della esclusiva valorizzazione delle sole zone costiere a tutto discapito del necessario percorso di razionalizzazione del territorio isolano nella sua interezza. Un decisivo cambio di rotta appare necessario e doveroso: l’imperativo categorico deve proiettarsi verso la creazione di condizioni di sviluppo e di occupazione, le quali costituiscono da sempre l’unica reale risposta al fenomeno endemico dello spopolamento. La scelta deve volgersi verso forme di “gestione territoriale-amministrativa” condivisa che possa colmare il “gap” attualmente esistente tra “centro” e “periferia”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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