Sono oltre 46 milioni gli elettori chiamati ai seggi per le 18esime consultazioni politiche della storia della Repubblica.

L'AFFLUENZA - Secondo quanto rilevato dal ministero dell'Interno sul sito Eligendo, alle 12 di questa mattina in tutta Italia ha votato per la Camera il 19,43% degli aventi diritto.

Leggermente inferiore il dato sardo (18,34%).

La provincia in cui si è registrata la minore affluenza nell'Isola è quella di Sassari (17,39%), mentre quella con la percentuale più alta è quella di Cagliari (19,26%).

Nella precedente tornata elettorale del 2013, che però si era svolta in due giorni, alla stessa ora si era recato alle urne il 14,94% degli elettori.

GLI SCENARI - A poche ore dall'esito del voto l'incertezza sul futuro politico del Paese regna sovrana. Complice una legge elettorale, il Rosatellum, che fonde sistema proporzionale e maggioritario e che nella situazione attuale rende difficile la formazione di un governo, perlomeno senza il ricorso ad accordi e coalizioni tra le forze in lizza. Proprio per questo anche gli osservatori più navigati faticano a sbilanciarsi sugli scenari più credibili post 4 marzo e le possibilità, come vedremo di seguito, sono molteplici e piuttosto complicate.

Maggioranza sì

Basterebbero i dati degli ultimi sondaggi e la previsione di un nuovo ritorno alle urne da parte di non pochi politici a far capire che una maggioranza in grado di governare non sarà per niente scontata. Il 40% dei voti è la quota che una coalizione dovrebbe raggiungere per prendere le redini del Paese insieme alla metà dei seggi più uno sia al Senato sia alla Camera, rispettivamente 158 e 316 unità.

L'aula di Montecitorio
L'aula di Montecitorio
L'aula di Montecitorio

Ma quali forze possono credibilmente farcela?

Stando alle analisi delle scorse settimane l'unica coalizione ad avere chance è quella del centrodestra, con forti distinguo a seconda che la bilancia penda a favore del partito di Silvio Berlusconi o, meno probabile, di quello guidato da Matteo Salvini. E, se non bastasse, a fare la differenza sarebbe il raggiungimento della maggioranza in entrambe le Camere, perché, in caso diverso, il centrodestra dovrebbe raccogliere meticolosamente l'appoggio di deputati di altre liste per avere i seggi necessari a governare in autonomia senza ricorrere a coalizioni.

Maggioranza no

L'ipotesi più probabile è che nessuna forza in corsa riesca a superare il 40% dei voti e tantomeno a ottenere la maggioranza dei seggi in entrambe le Camere, anche se i vari leader in campagna elettorale hanno spesso nicchiato su questa eventualità, per non sbilanciarsi troppo su future alleanze e accordi. Resta il fatto che l'Italia potrebbe svegliarsi il 5 marzo e non sapere bene da chi e come sarà governata, almeno nell'immediato post voto.

Un governo di "larghe intese"

In questo caso la prima strada da tentare sarebbe quella di un'alleanza tra i principali partiti, sulla scorta della neonata "Grosse Koalition" tedesca, ovvero una convergenza dettata dalle pressioni europee, dalle scadenze finanziarie che riguardano l'Italia, dal futuro cambio ai vertici della Bce e dai rischi di instabilità politica e sociale legati a un governo incerto e "debole".

Le possibili alleanze post voto: FI e PD, Lega, Fratelli d'Italia e M5S
Le possibili alleanze post voto: FI e PD, Lega, Fratelli d'Italia e M5S
Le possibili alleanze post voto: FI e PD, Lega, Fratelli d'Italia e M5S

A coabitare in una grande coalizione potrebbero esserci, nella versione più morbida e più rassicurante per gli osservatori internazionali, Forza Italia e il Partito Democratico, ma da subito l'alleanza sarebbe messa alla prova dalla scelta del premier e della lista dei ministri. E perché questo sia possibile è necessario che il Pd non vada sotto il 23% dei voti o si assicuri il sostegno di alleati come Più Europa.

Non mancano ipotesi più fantasiose, ovvero il mix esplosivo - e assai meno benvisto all'estero - formato da Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, con un governo misto o con un governo grillino appoggiato dall'esterno dai gruppi guidati da Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Si torna al voto

In assenza di maggioranza definita e nell'impossibilità di formare un governo di larghe intese, si aprirebbe poi la strada più incerta del ritorno alle urne e in tal caso la figura chiave sarebbe quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sciolte le Camere appena insediate, il capo dello Stato avvierebbe le consultazioni dei vari gruppi in Parlamento dando un incarico esplorativo a una figura su cui possano convergere le varie forze per la formazione di un esecutivo.

Un iter non privo di incognite, sperimentato l'ultima volta nel 2013 da Giorgio Napolitano, perché il prescelto o la prescelta dovrebbe poi esser in grado di ottenere la fiducia dal Parlamento, e nell'attuale situazione è altamente improbabile che le varie forze possano convergere “pacificamente” su un nome, o che si mostrino disponibili a sostenerne i relativi ministri e votarne la fiducia.

A Mattarella resterebbe poi l'opzione del cosiddetto "governo del Presidente", un esecutivo a tempo formato da tecnici, oppure guidato da una figura istituzionale come il presidente del Senato o, ancora, "di scopo", guidato cioè dal partito che abbia ottenuto la maggioranza relativa alle urne e sostenuto dagli altri, per traghettare il Paese al nuovo voto - a fine anno? - e soprattutto votare una nuova legge elettorale.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Il mondo ci guarda

"Dobbiamo prepararci allo scenario peggiore, cioè un governo non operativo in Italia", aveva detto il presidente della Commissione Ue Juncker solo pochi giorni fa, ma finora le preoccupazioni di Bruxelles non si sono diffuse sui mercati e la nostra Borsa ha proseguito l'andamento positivo avviato a inizio anno. È probabile, però, che dalla mattina del 5 marzo la situazione cambi e, quale che sia il risultato delle elezioni, i riflettori internazionali vengano puntati sull'Italia con maggior attenzione: in gioco c'è soprattutto la dose di europeismo che avrà il futuro governo italiano e la politica economica che metterà in campo, in materia di gestione del debito pubblico. Tema quest'ultimo, che insieme a quello del Fiscal compact e dello spread sarà imprescindibile per qualunque esecutivo si prospetti dopo il 4 marzo, anche considerando la fine del meccanismo "protettivo" del Quantitative easing e la conclusione del mandato nel 2019 di Mario Draghi alla Bce.

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)

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