Il ddl Zan, in discussione al Senato, è una legge che aumenta diritti e tutele o toglie libertà? L’identità di genere è una definizione appropriata o fumosa? Alcune condotte vengono già punite dal nostro ordinamento: servono aggravanti? 

Michele Ainis, costituzionalista, scrittore e professore di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Teramo, e Alfonso Celotto, avvocato e docente di Diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza a Roma 3, offrono a Unionesarda.it un punto di vista giuridico sui temi più caldi della legge che riguarda le “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

NUOVI REATI – Il primo punto in discussione è il cuore della legge, ossia l’introduzione nel nostro ordinamento di nuove aggravanti. “Comportamenti offensivi riguardanti la differenza di genere possono essere già puniti dal diritto vigente”, spiega Celotto. Perché allora inserirli? “In questi anni condotte omotransfobiche sono diventate emergenze sociali, più diversifichi il Paese e più è difficile l’inclusione e l’ammissione dell’altro. Il legislatore può scegliere di prendere comportamenti già puniti e aggravarne la punibilità. In questo la legge Zan è simile a quelle sul femminicidio o sull’omicidio stradale, e non le definirei proprio leggi inutili”.

“Ogni discriminazione – sostiene Ainis - è vietata dall’art. 3 della Costituzione, dal principio di eguaglianza. Non posso discriminare bianchi e neri, eterosessuali, omosessuali nell’accesso al lavoro o ai diritti. Se invece incito a picchiare un gay questo comportamento ricade in una fattispecie generale, che è quello dell’istigazione a delinquere. Se voglio ulteriormente tutelare delle minoranze prevedendo delle aggravanti, anche in questo caso ci sono già: quelle dei motivi futili e abietti. Il nostro ordinamento contiene già degli anticorpi contro questi comportamenti. Questa legge Zan avrebbe il significato di ribadirli? Di trasmettere ai giudici un’urgenza nel fronteggiare questi comportamenti più che altri? La legge in generale può anche assumere una funzione pedagogica e segnaletica, non sarebbe la prima volta”.

Ma questo per Ainis è un problema: “Il fatto di aver aggiunto nuovi reati negli ultimi anni ha determinato un ingolfamento nel nostro sistema giuridico. I reati previsti sarebbero 35mila, un numero iperbolico. Io credo che sarebbe bene non aggiungere ma sottrarre”. Ma la legge Mancino non è costruita allo stesso modo, prevedendo aggravanti per reati contro categorie di persone già protette in modo più generico dalla legge? “Infatti io ho molte perplessità anche sulla legge Mancino: anche in quel caso gli anticorpi già esistevano”.

IDENTITA’ DI GENERE – Un altro dei temi più controversi è il concetto di identità di genere, definito nell’art. 1 come “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso biologico” e “indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

“E’ molto difficile definire che cos’è l’identità di genere”, è l’idea di Celotto. “Lo vediamo nella famosa sigla Lgbt: dopo varie aggiunte si è optato per un ‘+’ che comprendeva tutti. La diversità è infinita, siamo tutti diversi e tutti uguali”. Definizione dunque troppo generica? “Il problema del diritto è sempre quello, si può dare qualsiasi definizione ma quello che conta è l’applicazione pratica nella giurisprudenza. Il legislatore deve provare a essere più preciso possibile, ma su questi terreni molto in divenire è difficile essere precisi. E’ un inizio, in una società in cui è sempre più difficile far convivere le diversità. Era facile dire cinquant’anni fa ‘L’Italia non è razzista’: eravamo tutti uguali, tutti più conformati”.

Ainis intravede invece un pericolo: “L’identità di genere, per come è definita, potrebbe essere esposta a un giudizio di ragionevolezza da parte della Corte costituzionale, se e quando qualcuno ne denunci l’incostituzionalità (ed è molto probabile che accadrà, se la legge dovesse passare). La Corte costituzionale si troverebbe a dover rispondere alla domanda: si può dematerializzare la nostra esistenza? Siamo tutti dei corpi oltre che delle menti. Io posso anche immaginare di essere un uccello ma se apro la finestra non riesco a volare, perché non ho le ali. Nei termini in cui viene scolpita la legge, a me dei dubbi me li crea”.

LIBERTA’ DI OPINIONE - Nell’art. 4 del ddl Zan si parla di pluralismo delle idee e libertà delle scelte: “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Un riferimento all’art. 21 della Costituzione.

“L’art. 21 – dice Celotto - è un tema classico: ciascuno è libero di esprimere la sua opinione, salvo che non offenda altri. Ciò che conta è il contesto e la finalità. Non stiamo parlando di reati di opinione o di divieto delle idee”. Non c’è già la Costituzione a difendere la libertà di pensiero? “Sì, infatti dal ddl toglierei quella parte. Abbiamo l’abitudine di scrivere troppe cose nelle leggi: basta prenderne degli ultimi dieci anni o di sessant’anni fa. Prima si scrivevano leggi asciuttissime. Oggi il legislatore spesso preferisce ripetersi e scrivere leggi più minuziose, cosa che le rende più complicate. Ma è una questione di tecnica legislativa”.

Ainis torna al Seicento e cita Bacone: “Quante più parole metti in una legge per cercare di precisare il senso, tanto più la rendi oscura. Meglio sottrarre che aggiungere”. I problemi in questo caso sarebbero interpretativi su cosa sia istigazione o cosa no “ma non è certo una questione creata dalla legge Zan. Poniamo che non venga mai approvata, rimarrebbe il reato di istigazione a delinquere: quando le mie parole diventano un principio di azione? Lo deve decidere il giudice in base alle circostanze di fatto del caso che viene sottoposto. Ogni caso è diverso dall’altro. L’illusione di poter elidere la discrezionalità interpretativa venne coltivata dagli illuministi nel Settecento, quando nel codice prussiano ad esempio venne vietato ai giudici di interpretare la legge. E’ impossibile, ogni legge è fatta di parole. Tutto deriva da un atto interpretativo. Non si può mai evitare il rischio che un giudice interpreti male e che qualifichi un comportamento come reato”.

L’EDUCAZIONE NELLE SCUOLE - L’articolo 7 istituisce la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” il 17 maggio. Quel giorno le scuole, “nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa” organizzano “cerimonie, incontri” e altre iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici “compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

“Si tratta di una dinamica importante”, è l’opinione di Celotto: “E’ tutta una questione storica: nell’antica Roma c’era una diversità molto più tollerata. Si narra di un famoso imperatore, Elio Gabalo, che si travestiva da donna. Io credo da liberale che sia importante fare una corretta informazione nelle scuole oggi che le diversità stanno emergendo con più libertà”.

Non la pensa così Ainis: “Secondo me meglio concentrarsi sull’educazione civica. Gli italiani sono ignoranti sui principi costituzionali, bisognerebbe cominciare dalla legge più alta dello Stato. Poi si può pensare al resto”.

Angelica D’Errico

                                                                                                                            

                                                                                                                            

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