L’aula sarà sempre la stessa, quella della Costituente del ’47. Nel frattempo, però, saranno trascorsi 75 anni da quando, il 31 gennaio del 1948, nel tempio parlamentare di Montecitorio, la Sardegna, l’Isola del Mediterraneo, veniva “elevata” al rango di Regione Autonoma e Speciale. È in quello stesso parterre, dimezzato nei numeri, che ora rischia di approdare il “de profundis” dell’Autonomia Speciale, la stessa “concessa” tra mille calvari e infiniti trabocchetti di Stato.

Calderoli, l’incendiario

Il Disegno di Legge sulle “Regioni differenziate” “sparato” nell’etere mediatico e politico dall’irruento Ministro degli Affari Regionali, il leghista Roberto Calderoli, passato alla storia per il falò delle 375.000 leggi definite inutili, è molto di più di un rogo costituzionale. In quelle sette pagine, con la sovrascritta «bozza di lavoro», divulgate come un manifesto di dogmi e decisioni già prese, si consuma il più subdolo attacco alla storia autonomistica dell’unica Regione a pieno titolo Speciale, non foss’altro per quella condizione insulare e ultraperiferica che nemmeno il più ingegnoso dei prestigiatori di Stato riuscirebbe a trasformare in una visione ottica. Calderoli, il Ministro, non è più quello di una volta. Qualche decennio fa avrebbe tuonato, come hanno fatto tanti altri, delle più svariate parti politiche, contro quelli che amavano con enfasi retorica definire i “privilegi” delle Regioni Autonome. C’è, per esempio, chi, ora seduto in questo governo, si era persino spinto ben oltre presentando una proposta di legge per la cancellazione, letteralmente, della Regione Autonoma e Speciale della Sardegna. I tempi, però, sono cambiati. Ora l’incursione non sarà a colpi di clava e roghi, ma la strategia sarà strisciante e subdola. L’obiettivo è quello di far annientare la Specialità autonomistica senza mai dirlo, proclamando la propria innocenza dinanzi a qualsiasi tentativo di reazione da parte di qualche “nostalgico” di Lussu e della storia passata.

Corpo del reato

Se interrogati davanti al puntuale esame del “corpo del reato”, il Disegno di Legge Calderoli, diranno che questa “storia” delle Autonomie Speciali è desueta, consunta e fuori dal tempo. La realtà è, invece, purtroppo, ben altra. Lo scrivono, ancora sottotraccia, costituzionalisti navigati e cultori del diritto: non si può in alcun modo superare un dettato costituzionale con una legge ordinaria, tantomeno con una procedura parlamentare equivoca e indefinita. La sostanza della questione è riassumibile con un concetto: la prevalente differenza di poteri e risorse a favore delle Regioni Speciali, indicata come principio costituzionale al primo comma dell’art.116 della Costituzione, non può essere modificato se non con una legge di pari grado. Per essere più espliciti: deve essere la Costituzione a sancire l’eventuale riconoscimento alle Regioni “differenziate”, in questo caso Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, di maggiori poteri rispetto a quelle Speciali. Solo così si potrà alterare, limitandola o azzerandola, quella “positiva” differenza che i Costituenti, e più volte il Popolo Sovrano, avevano sancito e riconosciuto per garantire a Regioni deboli e particolari quegli strumenti aggiuntivi per raggiungere e mantenere un vero riequilibrio “economico”, “sociale” e “culturale” delle loro popolazioni.

La svolta strisciante

Calderoli, però, è cambiato. Niente più roghi e asce di guerra. Non lo dirà mai di voler annientare le Regioni Speciali: sosterrà, semmai, l’esigenza di riconoscere alle Regioni che la chiedono, guarda caso le più forti e quelle del Nord, nel presunto rispetto di un dettato costituzionale, il comma tre dello stesso articolo 116, una differenziazione di poteri e soprattutto di maggiori risorse. Il tema è che tale differenziazione “ordinaria”, prevista per legge “semplice”, non può in alcun modo alterare quella “differenza costituzionale”, sancita dalla Carta delle leggi sia in termini di poteri e soprattutto di risorse a favore delle cinque Regioni Speciali, oltre la Sardegna, la Sicilia, il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige. Quello delle risorse è, dunque, il tema sostanziale. Il Disegno di Legge di Calderoli, se lo esaminasse un esperto di criminologia legislativa, è una confessione senza appello. All’art.7 del testo della proposta legislativa emerge il “corpo del reato”.

Il trucco di Stato

I primi due commi delle cosiddette “clausole finanziarie” sono, infatti, la palese violazione del dettato costituzionale che assegna alle Regioni Speciali un’ideale differenza “positiva”, sia rispetto alle Regioni ordinarie che alle ipotetiche future “differenziate”. Nel primo comma è scritto: «Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non derivano maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Nel secondo comma: «È garantita l’invarianza finanziaria, in relazione alle intese approvate con legge in attuazione dell’art.116, terzo comma, della Costituzione per le Regioni che non ne abbiano sottoscritte». Con il primo comma dell’articolo sette si afferma, in sostanza, che il riconoscimento delle Regioni “differenziate” non comporterà nuove spese a carico della finanza pubblica. La fantasiosa traduzione potrebbe, quindi, essere: Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, rivendicano con tanta enfasi l’aspirazione a diventare “differenziate” per mero “sport” istituzionale. Ci crederebbero in pochi, forse nessuno.

Malloppo da 21 miliardi

La realtà è che quelle tre Regioni del Nord vogliono almeno 21 miliardi in più, c’è chi dice 36, complessivamente, all’anno da iscrivere nei loro bilanci. Dunque, se lo Stato afferma che non spenderà niente di più del suo attuale bilancio, significa che quelle risorse da qualche parte dovranno comunque essere sottratte. È certo, però, che quei denari esistono, siano essi provenienti da fondi indistinti di coesione o frutto di consistenti sottrazioni da qualche capitolo di spese particolarmente ingorde o inutili. La violazione costituzionale si consuma a pieno titolo nel secondo comma quando si afferma che per le altre Regioni è garantita l’invarianza finanziaria. Tradotto significa che nessuno perderà risorse rispetto alle attuali. In teoria, visti i tempi, si potrebbe pure gioire. La realtà, però, è un’altra. Le Regioni forti avranno molte più risorse, insieme a nuovi poteri e competenze, e la Sardegna, per esempio, avrebbe, invece, sempre gli stessi denari. È qui che quella differenza “positiva” prevista dalla Costituzione verrebbe di fatto violata e cancellata: le Regioni del nord diventeranno “ordinarie specialissime” e quelle che, sino a prova contraria, sono “costituzionalmente speciali” si trasformerebbero di fatto in Regioni meno che ordinarie. Il blitz sarebbe compiuto senza colpo ferire. Sarebbe allo stesso tempo un’operazione subdola ed efficace, con un duplice effetto sulla Sardegna. In pratica all’Isola verrebbe meno la sua “Specialità” senza che mai, in 74 anni, sia stato ridotto o affrontato il riequilibrio permanente e strutturale, legato proprio alla sua condizione “indiscutibile” di Isola.

Danno e beffa

Il paradosso, oltre la lesione costituzionale, è che sino ad oggi lo Stato non ha mai voluto affrontare la questione economico-finanziaria e dei poteri “strutturali” indispensabili per perseguire il riequilibrio insulare della Sardegna. Con un reiterato “vizietto” di Stato, adducendo di volta in volta mille sotterfugi, a Roma hanno sempre sostenuto l’indisponibilità di risorse necessarie ad adempiere a quel dettato costituzionale. Ora, invece, per consumare il “misfatto” delle “differenziate”, attraverso una legge ordinaria, si troverebbero copiose risorse da gestire addirittura con un’intesa tra Regione “differenziata” e Governo. In pratica l’Isola di Sardegna, assurta nel ’48 al rango di Regione Speciale, si risveglierebbe dal lungo torpore senza alcun riequilibrio e declassata a modesta entità ordinaria. Oltre al danno, la beffa. Non solo il Disegno di Legge Calderoli degraderebbe nella sostanza la Sardegna, ma farebbe perdere all’Isola l’ultima chance per sostanziare, sia sul piano economico che nei poteri, il riequilibrio insulare. Il Ministro di oggi del resto conosce bene il dispositivo della legge sul Federalismo fiscale, quella approvata nel 2009, quando lui in persona guidava il dicastero delle Riforme nel Governo Berlusconi.

Smemorati di Roma

Fu lui stesso, a nome dell’esecutivo, a far proprio l’emendamento approvato dalla Commissione Costituzionale per le Questioni Regionali proprio sul riequilibrio insulare. In quella disposizione, all’art.22 della legge n.42 del 2009, si disponeva la “misurazione” e la relativa “compensazione” del divario legato all’oggettiva condizione insulare della Sardegna. In quel caso sarebbe bastato un decreto attuativo, d’intesa con la Regione, per definire gli strumenti per affrontare in modo “persistente” la vera ragione speciale della Sardegna, il suo inconfutabile essere Isola. Furono approvati tutti i decreti attuativi previsti da quella riforma, se ne dimenticarono uno, guarda caso quello dell’insularità. Il ragionamento ancor prima che costituzionale è logico: se la Sardegna non vedrà attuata quella norma, rafforzata dal riconoscimento del principio insulare appena inserito in Costituzione, si andrà dritti, senza scorciatoie, verso la violazione costituzionale.

Prima l’insularità

Se, invece, lo Stato volesse realizzare davvero le “autonomie differenziate” senza intoppi non dovrebbe attardarsi nemmeno un attimo nel redigere e approvare, concordandolo con la Regione, il decreto attuativo sull’insularità della Sardegna, con tanto di risorse adeguate e permanenti, non elemosine, per dare all’Isola trasporti veri, una zona franca integrale di riequilibrio insulare capace di sostenere le imprese locali, attrarre capitali veri e nuove imprese, comprese infrastrutture in grado di rompere l’isolamento verso le zone interne e il Mediterraneo. Sarebbe anche ora, dopo 75 anni, di restituire all’Isola e ai sardi il maltolto. Prima delle “differenziate” c’è da colmare il divario insulare.

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