Si fa avanti, con concretezza crescenza, e malgrado le titubanze prudenziali del Governo centrale, l’ipotesi di “contenimento” dei cosiddetti “non vaccinati”: non solo quale risposta di carattere “sanitario” atipico all’incremento del numero dei contagi, ma anche, e soprattutto, quale opportuno contemperamento “interno” sul piano del bilanciamento tra i principi costituzionali universalmente riconosciuti e i diritti fondamentali delle persone che, a vario titolo, si trovino ad essere coinvolte, in positivo e/o in negativo, dall’eventuale provvedimento. Fermo restando, ovviamente, che al potenziale diritto dei cosiddetti “non vaccinati” a non essere sottoposti a trattamenti sanitari non condivisi fa da contro-altare il diritto dei cosiddetti “vaccinati” a non dover subire limitazioni di sorta nella sfera del proprio quotidiano che fossero eventualmente necessitate dall’incremento esponenziale della curva del contagio determinato dalla libera e indiscriminata circolazione dei primi.

Se questo, dunque, è il contesto umano di riferimento, e se sul piano squisitamente giuridico “la Repubblica”, a mente dell’oramai inflazionato articolo 32 della Costituzione, “tutela la salute” quale “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, allora, e tutto considerato, non può che riuscire spontaneo domandarsi quale dei due interessi in gioco meriti un livello di tutela superiore: quello individuale singolarmente inteso quale interesse privatistico riferibile ad una cerchia ristretta di individui (e allora sarebbe più corretto discorrere nei termini raccapriccianti di un privilegio), oppure quello collettivo socialmente considerato nel suo riflesso per così dire “esterno”?

La risposta non può che porsi come univoca sul piano logico prima ancora che su quello giuridico, siccome l’eventuale ipotesi di un “contenimento” mirato riferito solo ed esclusivamente ai “non vaccinati” si configura come misura costituzionalmente apprezzabile e legittima solo allorquando risulti finalisticamente orientata ad assicurare la tutela della salute non solo del soggetto che ad essa sia sottoposto suo malgrado, ma anche dell’intera collettività, siccome l’Ordinamento Interno si propone di garantire, e in effetti garantisce, con buona pace degli sterili contestatori seriali, la salute tanto dell’individuo in quanto “cives”, quanto dell’individuo in quanto “singulu”, i diritti del quale ultimo, nel suo essere “singolo”, non possono che soccombere allorquando si tratti di garantire il miglior interesse della collettività. In fondo, a ben pensarci, si tratta delle due facce della medesima medaglia. La si guardi “per diritto” o la si osservi “per rovescio” il risultato non cambia se non sul piano del differente angolo visuale di riferimento il quale, nel permettere un variegato punto di osservazione, altro non consente se non di pervenire a conclusioni conformi sebbene sostenute da ragionamenti in qualche modo contrapposti.

Intanto perché, anche a tutto voler concedere, e come da più parti rilevato, è innegabile che la salute dell’individuo in quanto “singolo” costituisca il presupposto necessario del primario interesse del medesimo nel contesto sociale di stretta pertinenza. Quindi perché, nella specifica circostanza, la prescrizione di determinati comportamenti e/o la imposizione di altrettanti divieti, anche rivolti ad una minima cerchia ristretta di individui, non può che porsi in linea con le principali disposizioni normative vigenti nella materia in esame, siccome orientati, quei comportamenti e quei divieti, a limitare il pregiudizio pandemico. Infine perché la regola aurea del diritto insegna che ciascun individuo può e deve essere sottoposto a quelle sole limitazioni che siano idonee a garantire il rispetto dei diritti e delle libertà altrui. Ciò che si deve evitare per non incorrere in distorsioni dialettiche di alcun tipo è il voler assecondare, ad ogni costo, la dinamica della “contrapposizione” tra l’interesse individuale e l’interesse collettivo, siccome entrambi accomunati e garantiti dal superiore principio guida della solidarietà sociale anch’esso di rilievo costituzionale. Laddove, pertanto, la configurazione dei confini argomentativi sia chiara, la prescrizione del “contenimento” mirato, ventilata e richiesta da taluni previdenti Governatori di Centro-Destra del Nord, non può che porsi come legittima in quanto giustificata da superiori esigenze sanitarie e in quanto in alcun modo pregiudizievole rispetto alla salute del destinatario della misura.

Intendiamoci meglio: la eventuale determinazione in tal senso del legislatore, e prima ancora del decisore politico, non può andare soggetta a censura per difetto di ragionevolezza, siccome il sacrifico imposto a livello della auto-determinazione del singolo consente e garantisce la piena esplicazione di ogni altro “bene” di rilievo costituzionale. Del resto, la determinazione a non vaccinarsi è frutto di una convinzione personalissima che, seppure tutelata in senso proprio, non può riverberarsi in danno alla collettività nel momento in cui incontri, per contrasto, il pari diritto della generalità dei consociati, ossia di coloro che abbiano assunto la determinazione contraria a vaccinarsi scegliendo deliberatamente di porsi in linea con le raccomandazioni degli Organismi di Governo. Tanto più allorquando il pretendere di poter agire nell’esercizio di un diritto, quello a non sottoporsi alla vaccinazione per intenderci, potrebbe non escludere affatto un potenziale riflesso risarcitorio nel momento in cui quel comportamento si ponesse come causa efficiente di eventi dannosi che derivassero a qualunque terzo giacché, e parimenti, non si può pretendere la sola esistenza di diritti, ma deve accettarsi, altresì, la correlativa permanenza di doveri e di connesse responsabilità nell’ipotesi della loro inosservanza. Se così non fosse non sarebbe possibile neppure discorrere in termini di “comunità”. Alla luce di queste riflessioni, dunque, chi sarebbero i figli di un diritto minore? I “vaccinati”, per essersi sottoposti ad una misura sanitaria di carattere asseritamente “dittatoriale” (si perdoni l’amara ironia che evidentemente è impiegata a solo titolo argomentativo), oppure i “non vaccinati” per essere portatori incompresi e rivoluzionari di una pretesa libertà di comodo auto-riferita e auto-orientata? Credo che già il dover rispondere ad un simile interrogativo sia solo un infecondo esercizio di stile: è giunto il momento, per il decisore politico, di abbandonare una volta per tutte la “politica della carota” per assumere con autorevolezza decisioni “forti” sul piano sociale, perché un Governo che non decide sol per tentare di conservare un non meglio precisato equilibrio politico tra forze partitiche, ovvero un non meglio garantito equilibrio sul piano sociale, è solo un falso Governo: già Dante Alighieri parlava dell’Italia come di “nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”. E quel “bordello”, su piani differenti, perdura purtroppo a tutt’oggi.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

© Riproduzione riservata