È una competizione incerta, strana ma vera, quella che si svolge nel Pd in queste ore: ci sono già sette candidati in campo, anche se due dei più importanti ufficialmente non sono ancora in corsa. Tuttavia Marco Minniti e Maurizio Martina (che si aggiungono a Nicola Zingaretti, in pista da cinque mesi) sono già in campagna elettorale, e renderanno la sfida per la guida del Pd la più combattuta degli ultimi anni, la prima, per un grande partito, in cui l'esito non è scritto.

Pensateci: Matteo Salvini era già segretario prima di entrare al congresso, e Luigi Di Maio aveva cinque sfidanti pescati su internet di cui nessuno oggi ricorda più il nome. Mentre invece persino i bookmakers, con questi tre pesi massimi, faticano a fissare le quote.

Quattro giorni fa ho chiesto a Martina, dritto: "Ci saranno spargimenti di sangue in questo duello?". Lui ha sorriso: "A voi giornalisti dispiacerà, ma la risposta è no. Tuttavia devo essere sincero: una elezione in cui l'esito, per la prima volta, non è certo, è una grande prova di democrazia. Comunque la si pensi - ha detto il segretario uscente - si apre uno scenario inedito. Nessuno ha mai fatto quello che facciamo noi!".

In questo ha ragione. Ma è vero anche che mai come oggi di questa sfida il Pd ha bisogno. Una battaglia interna priva di ipocrisie e formalismi è essenziale per rilanciarsi.

Maurizio Martina (Ansa)
Maurizio Martina (Ansa)
Maurizio Martina (Ansa)

Ho interrogato a lungo Roberto D'Alimonte, uno dei più grandi esperti di flussi elettorali in Italia. È lui lo studioso che in dieci tabelle ha sintetizzato il rischio più grande per i Dem: "Il partito potrebbe estinguersi. Per la prima volta non ha una uniforme diffusione nazionale, perde nelle sue roccaforti storiche. I suoi elettori dicono di non condividere la linea sull'immigrazione. Da una crisi simile, i socialisti francesi non si sono più ripresi".

D'Alimonte, fra l'altro, non è un avversario del Pd, ma un simpatizzante dichiarato.

Questo rischio corrisponde ad una incertezza tipica dei momenti di crisi. La soluzione per uscire dal cul de sac è andare più a destra o più a sinistra? Serve continuità o discontinuità con la stagione renziana? Sull'immigrazione c'è bisogno di una linea più integrazionista (come suggerisce Zingaretti) o più dura (come immagina Minniti)? Il problema è generazionale e serve un giovane (come dice Martina)?

"Dobbiamo garantire più sicurezza - ripete Minniti - senza cancellare diritti". Corsi e ricorsi storici: nel 2009 Veltroni si dimise dopo la sconfitta del Pd alle elezioni regionali sarde. Quel giorno, al tempio di Adriano, c'ero. Veltroni parló di opposizioni e veti, di battaglie politiche anche se non disse i nomi dei suoi avversari. Una uscita di scena dignitosa, teatrale, ma velata da troppa prudenza.

Oggi il Pd deve di nuovo affrontare le elezioni regionali in Sardegna, dopo le politiche, con un candidato forte come Massimo Zedda, e la leadership nazionale in ballo. Anche stavolta, la Sardegna sarà decisiva e diventerà il punto di partenza per quella sfida. Ho intervistato Martina nella sua stanzetta al Nazareno: venti metri quadri, e dietro la sua scrivania le sue foto con Lula e una con Obama: "Sono i miei modelli: averli incontrati mi riempie di orgoglio. Ci serve un riformismo radicale".

Nicola Zingaretti (Ansa)
Nicola Zingaretti (Ansa)
Nicola Zingaretti (Ansa)

Zingaretti invece sta alla Pisana (governa il Lazio con l'appoggio esterno del M5S) e mi dice: "Sostengono che il mio limite è essere un amministratore locale. Pensa te - sorride - io lo considero il mio punto di forza!". E mentre siamo dietro le quinte di Piazzapulita Carlo Calenda rivela: "Anche se non lo dice nessuno, tutti sanno che, se vince Zingaretti, Renzi se ne va" (e sapendo della battaglia politica che lo attende - l'ex premier in queste ore tratta per ricomprarsi l'Unità).

Invece un intellettuale come Marco Revelli osserva: "Se il Pd non torna a sinistra, come il Labour di Corbyn, muore. Non puoi fare opposizione al governo del cambiamento, da destra, criticando il Reddito di cittadinanza!".

Ognuna di queste analisi, così contrapposte e inconciliabili, contiene un frammento di verità. Per questo la sfida aperta è la vera ancora di salvezza del partito. Far diventare intellegibile la battaglia tra le linee, rendere democratica la scelta, e trasparente ogni differenza, con una operazione-verità è lacerante. Ma è la scelta più intelligente che il Pd possa fare. Quella che lo fa tornare in partito vero, e vivo.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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