Sulla questione “giustizia” cadrà il Governo di Mario Draghi. Ricordatevelo. Benché si sia finora assaporato il dolce intermezzo tipico di ogni luna di miele che si rispetti, il fiele non tarderà a farsi sentire in tutto il suo amarognolo profilo gustativo di ritorno. L’affare “giustizia” è sempre stato una bomba ad orologeria pronta ad esplodere sulla diatriba armata di congegni ideologici contrapposti e antitetici difficili da conciliare siccome espressione di concezioni teoriche assai differenti rispetto a quello che comunemente siamo inclini ad intendere in termini di “garantismo” nei suoi rapporti controversi col tanto temuto “giustizialismo” spicciolo e ordinario, troppo spesso banalmente confuso col primo. Questione di punti di vista. In questo modo si potrebbe banalmente sdoganare la “vexata quaestio” senza porsi troppi interrogativi di sorta.

Ma il punto di vista, nel caso specifico, diviene elemento divisorio insuperabile nel momento in cui la comunanza di prospettiva appare come l’unica via eleggibile per venir fuori dall’impasse riformatore nella convinzione, piena ed efficiente, che non si possa continuare a far finta di “cambiare tutto” per non “cambiare niente”.

Marta Cartabia, ispirata da un lodevole intento moderatore comunque sinceramente blando e poco convincente sul piano espressivo per la genericità e ampiezza dei concetti richiamati unicamente per l’evidente necessità di preservare, per quanto possibile, l’unitarietà nella diversità, ha voluto rammentare ai suoi interlocutori che quand’anche esista l’esigenza di assicurare la cosiddetta “effettività” della pena, tuttavia non sarebbe giusto e/o opportuno pretendere per ciò stesso di ignorare “sic et simpliciter” il disposto dell’articolo 111 della Costituzione e, pertanto, la necessità di garantire sempre e comunque la cosiddetta “ragionevole durata” del processo. In buona sostanza, a voler essere cautamente ottimisti, il Lodo Cartabia sembrerebbe presupporre, quanto meno sul piano degli intenti (il condizionale è d’obbligo in considerazione della larghissima ampiezza interpretativa ispirata dalla genericità del ragionamento che ne costituisce il presupposto fondante e che si propone come tutt’altro che innovativo sul piano ideologico di base), una modifica importante del precedente Lodo Conte bis proprio con riferimento al nodo cruciale della prescrizione come da più parti rilevato.

Se davvero così fosse, allora proprio in occasione della discussione su siffatti argomenti, saremo in grado di comprendere non solo quanto significativa sia la stabilità “apparente” di questa neonata “maggioranza arcobaleno”, ma anche la tenuta unitaria di un Movimento ferocemente attraversato da correnti tra loro inevitabilmente dicotomiche. Certo è che, ad ogni buon conto, ogni potenziale intervento riformatore, ammesso e non concesso che si riesca ad avviarlo prima ancora che a portarlo a compimento, non possa prescindere, al di là della pura e semplice questione ideologica, da una riflessione attenta e consapevole sulla relazione di intrinseca coesistenza tra la riforma della prescrizione dei reati “strictu sensu” considerata e la più ampia e compiuta riforma dell’intero processo penale nella sua articolata dinamica di funzionamento. Intanto, perché anche il Presidente del Consiglio uscente, professore e avvocato Giuseppe Conte, non diversamente dal neonominato ministro della Giustizia, aveva a suo tempo, e non più tardi del mese di febbraio 2020, avuto modo di rilevare la necessarietà di ridiscutere l’incandescente tema prescrizionale unicamente in correlazione alla revisione dell’intero sistema processuale penale. Quindi, perché sarebbe impensabile pretendere di operare una declinazione autonoma e disancorata in merito ad un istituto singolo, quello prescrizionale appunto, il cui senso di esistenza lo si è sempre concepito in correlazione sistematica al meccanismo generale, al di fuori del quale, all’evidenza, non avrebbe modo di esistere e persistere nel suo significato di “istituto di natura sostanziale” in quanto tale soggetto al “principio di legalità” (cfr. Corte Costituzionale, Ordinanza n. 24 del 23.11.2016, dep. 26.01.2017). Infine, perché, abbandonandoci alla rilevazione degli aspetti più pratici dell’intero ragionamento, sarebbe da sciocchi ritenere che tutti i problemi connessi alle lungaggini del procedimento penale siano da ricondurre a pure e semplici concezioni ideologiche sulla necessità di assicurare a monte la effettività della pena attraverso la mortificazione dell’istituto della prescrizione quando, invece, con buona pace dei grandi pensatori, la complicazione reale si origina a valle, dal momento che la inefficienza del complesso giustizia risiede proprio all’interno dell’intero impianto strutturale amministrativo ed organizzativo per la incessabile carenza di risorse umane e strumentali. Intendiamoci: l’istituto della prescrizione è concettualmente problematico ed è naturale che sia terreno di vivace scontro ideologico tra parti politiche contrapposte, ma occorre rettamente considerarlo in correlazione all’impianto generale e ai suoi paradigmi espressivi e repressivi. Quindi, se Marta Cartabia volesse realmente rimuovere le cause della endemica e cronica lentezza del processo penale dovrebbe, molto umilmente, partire dal “basso”, dribblando per ciò stesso ogni più sensibile occasione di contrasto ed evitando di aggredire il sistema fondamentale delle garanzie.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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